La spesa sanitaria

Il principale fattore di aumento della spesa sanitaria (almeno il 50%) è dovuto alla nuova tecnologia e alla sua diffusione. Lo sviluppo di nuova tecnologia è massimo nelle nazioni più ricche, che investono maggiormente nello sviluppo tecnologico. Gli altri fattori (inclusi i cambiamenti epidemiologici) hanno poca influenza sulla spesa sanitaria: un effetto però lo ha la capacità dei Governi di negoziare con i fornitori i prezzi dei prodotti, di organizzare bene i servizi sanitari per aumentare efficienza e qualità, ricordando che gli sprechi sono molto elevati (circa il 30% della spesa) a causa della variabilità troppo alta, della scarsità della prevenzione, dei troppo elevati costi amministrativi, dell’eccesso di cure per acuti.

Il Governo di fronte alla sanità deve capire due cose:

1. l’interesse della popolazione è di favorire, non ostacolare lo sviluppo tecnologico, perché ciò migliora lo stato di salute: basta pensare ai progressi enormi compiuti nelle malattie cardiovascolari, in oncologia e in pediatria;
2. bisogna far crescere continuamente efficienza e qualità procedendo a piccoli passi, condividendo le scelte, studiando e sperimentando le soluzioni, premiando il merito, investendo nella educazione e motivazione del personale, tenendo sempre in prima evidenza la salute ed il benessere dei cittadini tutti senza discriminazioni e con equità.

Il Servizio Sanitario che migliora la salute della Nazione costa, e la spesa non può essere contenuta con tagli e riduzioni acritiche e ciniche che rallentano il progresso, ma con innovazioni gestionali, qualità dei servizi e attenzione alle classi sociali più svantaggiate. L’obiettivo finale è quindi l’attenzione al valore del denaro (value for money) e al benessere della popolazione, nel contesto di una società che migliori i determinanti sociali di tutti i cittadini e non solo i servizi sanitari. Questi devono essere reingegnerizzati e monitorati; il Servizio Sanitario Nazionale presenta molti vantaggi, ma anche esso invecchia e i suoi valori devono essere potenziati con cambiamenti saggi e ben studiati, che includano la medicina territoriale, la cura della cronicità, l’integrazione tra le diverse aree della sanità e il coinvolgimento dei pazienti e del personale sanitario.

(Blumenthal D et al. Health care spending. A giant slain or sleeping? New Engl J. Med. 369, 2551-57, 2013)

Le cure primarie

(medicina territoriale o di base)

Se uno Stato investe nelle cure territoriali (o primarie) non risparmia denaro, ma riduce la crescita della spesa. Ciò avviene però solo se il potenziamento delle cure primarie riguarda tutti i suoi aspetti:

1-2)      struttura e accesso (organizzazione e personale impiegato)

3)      coordinamento (funzione di gatekeeping rispetto agli altri professionisti sanitari)

4-5)      comprensività e continuità di cura (lavoro di squadra con altri professionisti e servizi sanitari, capacità di utilizzare tecnologie moderne per diagnosi e cura, coinvolgimento del paziente nella sua cura)

6)      rapporto medico-paziente (quando è forte, rispettoso e coinvolgente si ottiene migliore adesione al trattamento, alle misure preventive, minor ricorso al ricovero ospedaliero, minori differenze di salute legate a condizioni sociali diverse, minore spesa)

7)      medici olisti competenti ed esperti (con tecnologie sufficienti e moderne determinano minori sprechi e miglior stato di salute della popolazione e contenimento della spesa).

(Haggerty J L et al. The strength of primary care systems. Stronger systems improve population health but require higher levels of spending. BMJ 2013;346:f3777))

È tempo di integrare sociale e sanitario

La situazione economica attuale non consente di addossare allo Stato l’intera spesa dell’assistenza sociale. In Gran Bretagna la Commissione Dilnot ha proposto un tetto di spesa a carico degli assistiti, legato al reddito. Potrebbe rappresentare un passo avanti anche in Italia.

Appena possibile, tuttavia, la vera soluzione è di integrare il sistema sanitario e quello dell’assistenza sociale, specie quello che riguarda la degenza in RSA. Tenere divisi i due sistemi (il primo dei quali finanziato dallo Stato, il secondo a carico prevalente del paziente) è oggi un criterio superato dalla realtà, che ci dimostra come le necessità sanitarie e socio-assistenziali dei pazienti cronici non siano separabili. La Commissione Barker e il King’s Fund in Gran Bretagna (diretto da Chris Ham) dovranno proporre una risposta a questo quesito entro il 2015.

(BMJ 2013;346:f3973)

Il domani

Come stanno oggi le cose, io non credo che nel prossimo futuro l’Italia possa andare meglio. La ragione è semplice: tutti i governi che si sono succeduti e anche l’attuale non hanno saputo o voluto affrontare le ragioni basilari della crisi economica, e cioè: 1) Ridurre drasticamente la spesa pubblica, 2) Ridurre la rigidità dei rapporti di lavoro aumentando la flessibilità in entrata ed in uscita. Sul primo punto la politica non sente ragioni: una spesa pubblica di oltre 800 miliardi di Euro l’anno rappresenta circa il 50% del PIL, cioè della ricchezza prodotta dagli italiani. Se non si abbatte la spesa pubblica improduttiva non c’è tassazione che tenga. Ma la spesa pubblica significa anche privilegi, potere, agiatezza. Gli scandali sono ormai quotidiani: i costi della politica e del sindacato, gli sprechi e la corruzione ad ogni livello, gli alti stipendi dei manager anche quando fanno fallire l’azienda, i carrozzoni pubblici (di Stato, Regioni, Comuni), ma anche gli inutili e dannosi molteplici livelli di governo, la caste che spadroneggiano, e avanti così in una litania che abbiamo imparato a recitare da tempo. Il tema dei sindacati è altrettanto intoccabile. Regole oggi intenibili stanno riducendo i posti di lavoro e dislocando all’estero molte imprese. Ma i sindacati continuano con i vecchi slogan: il lavoro precario è diventato il nemico da colpire. Ma con il termine di “precario” si intende anche i contratti di lavoro a termine, che esistono in tutto il mondo e sono una necessità assoluta per le imprese. Da noi il lavoro deve essere a tempo indeterminato e chi è assunto diventa subito un dipendente a vita, anche se non lavora o lavora male. Ma le decine di migliaia di sindacalisti che vivono in Italia a spese della collettività sono una casta ormai intoccabile, nulla si muove senza la concertazione: ciò significa che politica e sindacato hanno stretto un’alleanza che se ne infischia della crisi e degli italiani, perché il potere è potere.

Un governo di larghe intese o di emergenza avrebbe potuto sciogliere questi nodi e salvare l’Italia. Ma i nostri politici sono impegnati in una continua faida elettorale, incuranti del declino del Paese. Vivono di alterchi, vivono nei talk show televisivi per essere visibili. La maggior parte di essi non ha senso di responsabilità alcuna, contrariamente a quanto viene continuamente vantato, e in definitiva non ha alcuna capacità di governo. Incapaci e avidi, come sempre sono stati i politici di professione, gente che non ha mai lavorato e non sa fare niente. Gli esempi si sprecano: gente incapace e piena di sé che sta trascinando l’Italia al dissesto. La svolta, il nuovo paradigma ancora non si vede, ma comincio a pensare che forse non si vedrà ancora per un bel pezzo.