Il Taylorismo in sanità

Il Taylorismo (ossia il management scientifico e la teoria che l’efficienza del sistema viene prima della persona) impronta oggi la sanità. Ma se la teoria (e le lean practices) è stata un successo per la Toyota, essa è un disastro per la sanità.

Il ticchettio del tempo che scorre e l’occhio implacabile del manager incombono sul medico e sul paziente nella pretesa di un’efficienza e di un modo di operare che sono negativi per entrambi. Si pensa così di risparmiare; non è così. Non si risparmia ma si distrugge e basta.

I pazienti non sono automobili, ma i medici hanno ancora la voce per affermarlo?

Non mi sembra proprio. Marginalizzare i sanitari in sanità è un errore cui dobbiamo rimediare: dobbiamo tornare alla centralità del rapporto medico-paziente, al ruolo di supporto ai sanitari del manager e degli amministrativi e non di direzione, che impone modi di agire aziendali che non si adattano alla sanità e che stanno causando demotivazione e burn-out del personale, scontento della popolazione, spese inutili e dirottamento di numerose risorse: la persona deve tornare ad essere prima del sistema.

(Hartzband P,  Groopman J. Medical Taylorism. N Engl J Med 374, 106 – 108, 2016)

Le fusioni

Molti ritengono che l’accorpamento e fusione di strutture anche sanitarie comporti vantaggi e risparmi. Più spesso non è così, ma l’esatto contrario: i costi aumentano e la qualità diminuisce. In altri termini non si realizzano le merger-specific efficiencies attese perché non sono state ben studiate e ben pianificate le conseguenze della fusione.

Se poi il risultato è di ridurre la competizione tra gli erogatori di servizi sanitari, si otterrà solo un aggravio economico per chi deve pagare i servizi stessi.

(Leemore D e Lee TH. The good merger. NEJM 372, 2077-79, 2015)

Le riforme istituzionali

L’Italia è sempre stata caratterizzata dal malgoverno, ovvero da minoranze al potere che hanno vissuto alle spalle dei cittadini che lavorano e producono, concedendosi introiti ricchi e privilegi senza mai rispondere della loro prevaricazione. Con il tempo questa minoranza parassita è cresciuta di numero e arroganza cosicchè oggi la spesa pubblica sfiora il 50% del PIL. Quali riforme possono porre rimedio a questa stortura? Ricordiamoci prima di tutto che nei sistemi complessi non è solo difficile individuare e approvare nuove regole efficaci, ma soprattutto far sì che le nuove regole vengano capite e seguite da tutte le persone che devono osservarle. Ancora oggi in Italia si parla di medici delle Mutue dopo 35 anni che la Mutua (l’INAM) è stata abolita e sostituita da un Servizio Sanitario Nazionale. Per questo mi fa paura la quantità di riforme messe al fuoco dall’attuale Governo: si rischia una confusione operativa senza precedenti oltre al rischio di ulteriori cassaintegrati che non si sa come occupare e mantenere, senza peraltro scalfire il sistema che ha generato i guasti maggiori cioè quello che gode dei privilegi. Come sperare quindi in un risanamento?
Oltre ai danni provocati dal dissennato aumento di coloro che godono di privilegi (schiere di politici, burocrati, affiliati, ecc., ma anche di imprenditori, professionisti, ecc. che con il sistema attuale campano bene), almeno altri due elementi negativi sono responsabili dell’attuale situazione:
1. la parcellizzazione del potere con eccessivi livelli (Stato, Regioni, Province, Comuni, città . metropolitane) in una Nazione piccola dove il potere centralizzato ha dato risultati migliori o non inferiori al decentramento e alla sovrapposizione e conflitto tra i ruoli;
2. il rifiuto degli Italiani di impegnarsi nel lavoro manuale o umile, per cui oggi è difficile trovare un Italiano che si impegni in agricoltura, assistenza alla casa o alla persona; meglio vivere con un assegno di disoccupazione che lavorare con sacrificio, anche perché non si capisce per quale motivo lo Stato offra ai disoccupati un assegno anziché un lavoro.
Forse se iniziassimo da qui con un progetto ben strutturato a piccoli passi successivi e relativo cronoprogramma, ricentralizzando lo Stato, eliminando tutti gli inutili centri di potere e di spesa che abbiamo creato e rivalorizzando i lavori che abbiamo lasciato agli extracomunitari, potremo trovare un bandolo all’intricata matassa della recessione.
Già che ci siamo voglio dire che ritengo curioso che parlando di riforme si parta sempre dai bisogni degli addetti (Sindacati in testa) anziché da quelli degli utenti, che restano sempre disattesi.

Il posto di lavoro

Viviamo di slogan. Si sente solo dire che il lavoro è un diritto. Ma chi genera il lavoro? L’impresa privata, giacché lo Stato non ha più soldi. Ma l’impresa privata ha bisogno di lavoratori coscienziosi, volenterosi e capaci. Il lavoro deve quindi prevedere anche dei doveri per il lavoratore, nell’interesse dell’azienda che assicura loro il posto. Qui sembra invece che i posti di lavoro debbano scendere dal cielo, senza impegni per i lavoratori che hanno diritto al posto (non al lavoro) ma non hanno il dovere di tenerselo caro.
Di queste mentalità dobbiamo ringraziare i nostri sindacati, che per pura demagogia, hanno diseducato i lavoratori creando un perenne contrasto tra lavoratori e imprenditori. Se a ciò aggiungiamo che le tasse sulle imprese sono a livello insopportabile non sarà caso di ricominciare da qui per rilanciare il lavoro? Ma per ridurre le tasse sulle imprese bisogna tagliare la spesa pubblica improduttiva (cioè i privilegi dell’apparato) e cambiare la mentalità dei lavoratori, ancora più difficile e impopolare. Per fare questo ci vogliono idee chiare e coraggio, qualità difficili da trovare.