COVID e Medicina Territoriale

I malati di COVID lasciati soli a casa con un consulto solo telefonico, ripropongono con forza il problema della Medicina Territoriale e dei Medici di Medicina Generale. Da anni sento dire che questa deve essere la figura centrale del Servizio Sanitario Nazionale, che da essi dipendono la qualità e il costo del servizio stesso, che è necessario investire su di essi, etc., ma finora poco è cambiato. Siamo ancora in presenza di professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, ma che operano con contratti nazionali simili ai dipendenti, agiscono per lo più isolati nel loro studio, non hanno un forte background clinico, né un aggiornamento continuo, non godono di  posizioni accademiche né di carriera in strutture territoriali complesse, quali dovrebbero essere le Case della Salute, i POT e i Walk-in Centres. Questi ultimi, in particolare, sono Poliambulatori sempre aperti e accessibili senza appuntamento per l’urgenza (non emergenza) che offrono alla popolazione una Guardia Medica e quindi una sicurezza, ai medici curanti un presidio attrezzato sia per l’urgenza, sia per approfondimenti diagnostici, scaricando anche il Pronto Soccorso da una casistica impropria. Essi possono anche essere sede dei Medici di continuità assistenziale e si possono utilmente integrare con i Presìdi di degenza territoriale a bassa intensità di cura e con le Case della Salute, specie quelle adibite alla cura dei cronici. Questi ultimi infatti necessitano di un’équipe per la valutazione multidimensionale che deve disegnare e aggiornare periodicamente un piano di cura, affidandolo ad un case manager che gestisce il paziente cronico e diviene il suo interlocutore abituale e il trait d’union con il medico curante ed i Centri specialistici, se del caso. In tal modo il Medico di Medicina Generale potrebbe anche liberarsi di gran parte del lavoro burocratico che oggi lo impegna per molto tempo, per dedicarsi al rapporto con i malati, all’aggiornamento che comprende anche la frequenza di Ospedali e strutture complesse territoriali, all’insegnamento e alla ricerca scientifica. In un simile sistema organizzativo non accadrebbe che il Medico di Medicina Generale non visiti i pazienti COVID a domicilio o in ambulatorio, perdendo così l’occasione di fare diagnosi e trattamenti precoci atti a salvaguardare il malato.

Speriamo che questa epidemia di COVID possa essere l’occasione per iniziare finalmente un percorso di miglioramento della Medicina Territoriale.

Considerazioni per i 40 Anni del NITp

Celebrando i 40 anni del NITp, penso che il suo successo sia legato in gran parte ai seguenti fattori:

  1. ha rappresentato sempre una piattaforma al servizio dei numerosi specialisti che intervengono nel prelievo e nel trapianto di organi. Ha funzionato facilitando l’organizzazione e i contatti tra le équipes, gestendo le liste di attesa e i test immunologici e immunogenetici, ma anche facilitando l’incontro periodico degli specialisti riuniti in gruppi di lavoro. Le procedure adottate dall’intera organizzazione scaturiscono dall’accordo raggiunto da questi incontri, e la loro revisione periodica ne assicura l’aggiornamento continuo. Non quindi una struttura di vertice, ma costituita e gestita dagli operatori stessi, utilizzando un Centro di servizi divenuto successivamente il Centro di Riferimento Interregionale;
  2. è stato ed è un esempio di organizzazione multi-disciplinare e multi-professionale, giacché ha visto il contributo paritetico di vari specialisti medici, con infermieri, dirigenti regionali, amministratori ospedalieri, giornalisti, esperti di logistica e di presidi medici, ma anche di alcuni assessori alla sanità regionali come Rivolta e Melotto, che sostennero l’affermazione del NITp. Tutti hanno lavorato insieme con il rispetto delle rispettive competenze, con ammirevole lavoro di squadra;
  3. l’origine stessa del NITp è stato un esempio di aperta e intelligente collaborazione. La mia proposta del 1974 ai Professori Edmondo Malan e Piero Confortini (grandi chirurghi del trapianto) di delegare l’organizzazione del trapianto (e quindi le liste d’attesa e la scelta dei pazienti da trapiantare!) ad una struttura terza che non aveva propri pazienti nasceva dal fatto che già all’origine del prelievo e del trapianto serpeggiavano malumori e sospetti circa i pazienti che i chirurghi autonomamente sceglievano per trapianto e i sospetti erano particolarmente accesi anche sul prelievo di organi e sulla morte cerebrale. Feroci campagne di stampa e movimenti di opinione mettevano a serio rischio la pratica del prelievo e del trapianto. Questi grandi chirurghi, leader della trapiantologia italiana, ci accordarono la loro fiducia (di cui vado orgoglioso anche oggi) e nacque il NITp;
  4. l’internazionalità del NITp e dei suoi componenti ci portò in contatto con i Centri e le Organizzazioni di trapianto di tutto il mondo, ove acquisimmo rispetto e considerazione. Siamo stati sempre presenti in tutti i principali tavoli europei e americani e abbiamo collaborato a costruire con loro le loro e le nostre decisioni. I pionieri del trapianto sono stati nostri amici e maestri;
  5. il NITp è stato una piattaforma non solo organizzativa ma anche scientifica, e numerose sono state le ricerche di tipo collaborativo che sono state pubblicate e che hanno contribuito allo sviluppo e crescita della trapiantologia;
  6. il cemento che ha legato insieme le centinaia di persone che hanno costituito il NITp è stato l’amore per il proprio lavoro. Ne è nato un mondo nuovo, una organizzazione multidisciplinare e multi-regionale costruita sulla fiducia e stima reciproche, sull’autorevolezza professionale, sull’innovazione organizzativa e gestionale.

Oggi il NITp continua la sua attività: sono cambiati molti uomini e molte situazioni, ma i valori costitutivi restano, restano le collaborazioni e tutti i presupposti del suo successo.

Il NITp è stato e resta un motore della trapiantologia, della sanità e della salute pubblica italiane.

In merito segnalo un pensiero del dr. Sergio Harari pubblicato sul “Corriere della sera” Milano 

Il Servizio Sanitario Nazionale va migliorato

Tra le cose che avrei voluto affrontare e portare a termine durante il mio mandato al Ministero della Salute (anni 2001-2005) e anche alla luce degli sviluppi registrati nei successivi 10 anni, oggi concentrerei i miei sforzi di miglioramento del Servizio Sanitario nei seguenti ambiti:

  1. La gestione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)
  2. Il potenziamento della medicina territoriale attraverso:
    • La realizzazione di walk-in centers e
    • Le Case della Salute

Gestione dei LEA
Quando nel 2001 definimmo i LEA ci limitammo ad elencarli, ma ben sapevamo che questo era solo un primo  passo  cui doveva seguire la definizione di uno standard della quantità, qualità e costo di ogni prestazione sanitaria (e una sua periodica revisione) che ogni Regione dovrebbe assicurare per garantire un Servizio Sanitario Nazionale uniforme su tutto il territorio nazionale e quindi l’equità del servizio. Oggi non è così e le disparità sono macroscopiche, con liste d’attesa a volte inaccettabili, qualità talora men che soddisfacente e costi a volte elevati. La necessità di definire standard di quantità, qualità e costo delle singole prestazioni (almeno le più importanti) è stata inserita nella Legge finanziaria per il 2005 [art. 169, Legge 30 dicembre 2004, n. 311. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005). GU Serie Generale n. 306 del 31.12.2004. Suppl. Ordinario n. 192], ma la cosa non ha avuto il seguito desiderato.

La Casa della Salute è una struttura territoriale che effettua la presa in carico dei malati cronici e la costruzione e gestione di un piano di cura personalizzato. E’ importante che l’anziano venga seguito in tutto il suo percorso sanitario e sociale iniziando dalla prevenzione proattiva fino alle fasi più avanzate della vita evitando per quanto possibile il ricovero in ospedale o RSA. La Casa della Salute deve operare in collaborazione stretta con i Medici di Medicina Generale che operano da soli nel loro studio e che mantengono una funzione essenziale. Oggi manca un modello italiano di Case della Salute e auspico che il Ministero della Salute con le Regioni lo definiscano al più presto onde evitare che esistano in Italia forme diverse di questo presidio che è, a mio avviso, il più importante passo per il potenziamento delle cure territoriali.

I walk-in centers. La Regione Lombardia ha realizzato uno di questi Centri a Milano in occasione dell’Expo 2015. Esso si propone di offrire un servizio di diagnosi e cura per le persone che visitano Milano provenienti da altre città, per i milanesi che desiderano una visita medica quando è loro più comodo e in genere per tutti coloro (medici generalisti o cittadini) che vogliono una second opinion. Questa struttura deve operare idealmente dalle 8 alle 24 ogni giorno della settimana e deve disporre in loco o tramite Pronta Disponibilità di internista (o generalista), chirurgo generale ed eventualmente anestesista e di altri vari servizi specialistici, nonché di laboratorio di ematochimica d’urgenza e bioimmagine con variazioni dettate di volta in volta dalla collocazione del presidio. La indispensabile presenza di specialisti in questo Poliambulatorio-Guardia Medica comporta la realizzazione di studi medici dedicati nonché la disponibilità di strumentazione diagnostica specifica, che per ridurre i costi si dovrebbe utilizzare nell’arco della giornata, non solo per le prestazioni sanitarie urgenti, ma anche per assistenza  ambulatoriale ordinaria.
Il personale dovrebbe essere in prevalenza dipendente dal Servizio Sanitario Regionale (SSR) e derivare dall’accorpamento e riordino della rete ospedaliera (previsto dalla Regione Lombardia). Ciò non toglie che si possa e si debba impiegare anche altro personale operante nel SSR in base alle necessità in una logica di multidisciplinarietà e multispecialità. Il Poliambulatorio-Guardia Medica deve essere gestito da un Direttore di dimostrata capacità ed esperienza manageriale in ambito sanitario, coadiuvato da personale sanitario e amministrativo esperto.
Il carico di lavoro di ogni simile struttura si stima possa aggirarsi intorno ad almeno 3.000 pazienti al mese. Potrebbe essere utile se essa disponesse di una Astanteria oltre che di uno stretto collegamento con Ospedali per il Pronto Soccorso e le eventuali degenze. Importante anche che esso sia dotato di uno sportello amministrativo per il disbrigo di pratiche inerenti.
Questi Poliambulatori-Guardia Medica sono ispirati ai cosiddetti “Darzi walk-in centres[1] realizzati in Inghilterra, specie a Londra nel 2008 dall’allora Segretario di Stato per la Sanità Lord Ara Darzi. Questi walk-in centres, che sono molto comuni anche negli USA, hanno avuto un grande successo presso il pubblico, con un’affluenza quasi 3 volte superiore rispetto a quella prevista e con un costo medio di 1,1 milione di Sterline/anno, cioè assai più elevato di quanto preventivato[2]. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che a Londra solo una parte degli utenti paga la prestazione, giacché questa è gratuita per i pazienti che si sono registrati per le cure primarie presso questi centri anziché presso gli studi dei medici generalisti. Proprio per questo nel nostro modello prevediamo che i Poliambulatori-Guardia Medica siano accessibili a tutti i cittadini previo pagamento senza esclusioni di un ticket di 50 Euro che copra i maggiori costi di gestione, la formazione continua del personale, le attività di valutazione di qualità, efficacia e costo.
A fine 2013 il Premier britannico David Cameron ha riproposto in via sperimentale l’accesso esteso (12 ore al dì 7 giorni su 7) alle prestazioni di Medici Generalisti, ricalcando l’iniziativa di Ara Darzi[3]. Nella nostra proposta il Poliambulatorio-Guardia Medica non si pone in concorrenza con i Medici Generalisti, ma al contrario funge da supporto al loro lavoro, coprendo le urgenze, operando negli orari e nei giorni non coperti dal loro servizio, fungendo da riferimento per approfondimenti diagnostici e di second opinion. Infine è bene prevedere nel Poliambulatorio-Guardia Medica la presenza del personale per le visite domiciliari a pagamento.
Il presidio da noi ipotizzato è relativamente nuovo per Milano e per la Lombardia e deve quindi essere sperimentato su piccola scala con una sperimentazione euristica, cioè di valutazione e modificazione cammin facendo in modo agile in rapporto alle esigenze rilevate. In via sperimentale si è iniziato con un Poliambulatorio-Guardia Medica nel centro storico della città, e quindi in posizione baricentrica e facilmente raggiungibile da ogni periferia.

E’ importante che la sperimentazione tenga conto del fatto che:

  1. la Guardia Medica deve essere integrata non solo con i vicini Ospedali ma anche con strutture a bassa intensità di cura, da utilizzare come buffer per il trasferimento o la dimissione protetta di convalescenti e anziani. Altro importante buffer è un reparto di Astanteria-Osservazione;
  2. è necessario che questi presidi operino a pieno regime ogni giorno e per tutto l’arco della giornata, anche nei week end e nei periodi festivi, così da evitare gli inconvenienti dell’assistenza sanitaria che si osservano in questi periodi;
  3. il personale impiegato deve essere il più esperto e non solo il più giovane, giacché la pratica ambulatoriale è tra le più difficili attività di diagnosi e cura. Va da sé che al personale eccellente devono essere corrisposte retribuzioni adeguate e attrattive. Infine le attrezzature impiegate devono essere moderne ed efficienti.

 

Per un intervento di miglioramento a più ampio raggio sottoporrei alla discussione le seguenti proposte
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha urgente bisogno di vere riforme. Oggi presenta alcune vistose insufficienze in termini di quantità, qualità ed efficienza delle prestazioni erogate e, pur non essendo eccessivamente costoso, rischia di diventare presto insostenibile sul piano economico. Le principali cause di questa situazione ritengo siano le seguenti:

  1. Non essendo stati definiti standard di quantità, qualità e costo delle singole prestazioni sanitarie che le regioni debbano assicurare uniformemente,[4] esiste una iniqua variabilità fra le varie aree del Paese per cui alcuni cittadini in base al luogo di residenza non hanno accesso a servizi adeguati con conseguenti pericoli per la salute o migrazioni sanitarie con relativi disagi.[5]
  2. L’accesso ai servizi è difficile in alcune condizioni con tempi di attesa troppo lunghi e spesso la necessità di ricorrere a erogatori privati o alla cosiddetta libera professione ‘intra-moenia’ che tante perplessità etiche continua a sollevare.
  3. L’aggiornamento dei medici è mal strutturato e poco efficace e non è verificabile.
  4. Gli investimenti in tecnologia innovativa sono mal programmati, assai variabili da zona a zona e spesso non accompagnati da una adeguata preparazione del personale addetto.
  5. La gestione di tipo pubblico dei servizi è inefficiente e costosa, come è naturale attendersi quando si insiste ad applicare regole pensate per la pubblica amministrazione a organizzazioni che necessitano di gestione imprenditoriale. A ciò si aggiunga l’invadenza della politica nella sanità pubblica che notoriamente premia più l’appartenenza partitica che il merito, la qualità e l’efficienza.
  6. Il SSN non è disegnato sui bisogni dell’utente ma su altri interessi. Ciò accade per la debolezza dell’utente che si trova nella situazione di avere scelte limitate o assenti e non attivare quindi meccanismi di mercato. Utenza peraltro che spesso approfitta della gratuità dei servizi e ne usa in eccesso e in modo inappropriato.

Le numerose “riforme” attuate dalle Regioni non hanno sortito risultati apprezzabili in quanto non hanno inciso sulle vere cause della disfunzione.
Per migliorare davvero sono, a mio avviso, necessarie poche incisive operazioni e precisamente:

a) I grandi ospedali di riferimento e le strutture territoriali ad essi annesse (poliambulatori specialistici, Walk-in centres, strutture di ricovero a medio termine per la dimissione protetta) devono essere trasformati in fondazioni di diritto privato e dotati di un piccolo Consiglio di Amministrazione (CdA) costituito da rappresentanti dei benefattori, dei capitali no profit, dei dipendenti, ecc. che nomini ed eventualmente rimuova un direttore generale e un collegio di direzione capaci di assicurare una gestione imprenditoriale della struttura e una forte motivazione del personale avendo piena libertà e autonomia ancorché sottoposte alla programmazione e al controllo del CdA e della regione.
Il Decreto legislativo n. 288 del 16 ottobre 2003 sul Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’art. 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003 n. 3 aveva lo scopo di trasformarli in Fondazioni di diritto privato e di costituire una rete nazionale di strutture di alta qualificazione e di riferimento.
La legge tuttavia è stata affondata a causa di due interventi esterni, il primo ad opera della Commissione Sanità della Camera (che pretese di aggiungere al termine Fondazione la specifica di natura pubblica) e il secondo da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 270/2005) che, su ricorso di alcune Regioni, stabilì che lo statuto delle Fondazioni in oggetto doveva essere redatto dalle Regioni di appartenenza e non dallo Stato. Non è stato colto dalla Corte il valore di una rete sopraregionale di strutture di riferimento, valore che è stato ad esempio dimostrato dall’IRCCS Spallanzani di Roma in occasione dell’epidemia di Sars, di Influenza Aviaria e di Ebola o dalla rete degli IRCCS oncologici ai fini di assistenza e di ricerca. Sta di fatto che oggi gli IRCCS hanno perso ogni valore aggiunto rispetto ai normali ospedali regionali e l’Italia non ha saputo creare strutture di riferimento e reti di assistenza e di ricerca.
Per quanto riguarda i collegi di direzione sopra menzionati ho più volte auspicato che essi siano costituiti dai capi dipartimento dell’ospedale e continuo a ritenere che questi ultimi debbano guidare un dipartimento che ottenga dal CdA i poteri e le risorse necessarie a svolgere in modo autonomo il ruolo di governo clinico che gli spetta, ossia a rispondere in termini di quantità, qualità e costo delle prestazioni effettuate al budget negoziato con l’amministrazione centrale dell’ospedale senza inutili vincoli e interferenze che hanno dimostrato di saper solo smorzare il potenziale dei medici e del dipartimento stesso. Auspico in altri termini che il dipartimento acquisisca caratteristiche simili a quelle delle divisioni industriali delle grandi aziende private.

b) Introdurre il metodo dell’assistenza indiretta: il paziente paga le prestazioni che riceve e viene rimborsato tramite conguaglio fiscale o altro meccanismo. Per i veri indigenti le prestazioni restano gratuite. E’ noto che l’indiretta riduce di molto le prestazioni inutili o inappropriate e quindi gran parte degli sprechi della sanità.
Il passaggio all’assistenza indiretta è una svolta drastica che deve esser attuata in modo progressivo limitandola inizialmente ad alcune prestazioni quali ad esempio la specialistica ambulatoriale e la farmaceutica convenzionata, ed estesa eventualmente al medico di famiglia e ad altri servizi sanitari con vantaggi per i cittadini e per gli stessi erogatori di servizi.

c) Il SSN non dovrebbe coprire le malattie e gli accidenti che sono causati da attività ludiche o sportive che ogni interessato può coprire con assicurazioni private o con polizze aggiuntive del SSN.

d) La medicina territoriale sarà incentrata sulla “Casa della Salute” di cui ho già scritto in precedenza (vedi anche blog girolamosirchia.org) e sui Medici Generalisti con essa collegate e si avvarrà anche di ospedali di prossimità a bassa intensità di cura per curare malati cronici e anziani e assicurare loro una dimissione protetta e tempestiva da parte dei grandi ospedali di riferimento. Anche le Case della Salute e gli ospedali di prossimità potranno essere pubblici o privati.

e) E’ urgente attivare un sistema di aggiornamento dei medici basato sul Continous Professional Development,[6] già previsto nella Finanziaria per il 2005 ( 173, comma d), che prevede che ogni medico gestisca un proprio portfolio della conoscenza e della professionalità e possa documentare ad un ente terzo indipendente la sua preparazione professionale ma anche le sue capacità di relazione con pazienti e colleghi e più in generale con la società in cui vive, così da essere rivalidato ogni cinque anni ed offrire alla società stessa, inclusa la magistratura, e ai pazienti garanzia del proprio operato.

Vogliamo rendere il nostro servizio sanitario nazionale equo, efficace e sostenibile? Se la risposta è positiva credo sia necessario procedere con coraggio e competenza ad effettuare sostanziali modifiche come quelle che qui ho suggerito o altre di documentata efficacia.

 


[1]
Healthcare for London. A framework for action (DOWNLOAD: http://www.nhshistory.net/darzilondon.pdf

[2] Torjesen I. Monitor investigates reasons behind closure of “popular” Darzi walk-in centres. BMJ 2013;346:f3570

[3] BMJ 2013;347:f5949

[4] Art. 169, Legge 30 dicembre 2004 n. 311. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005). GU Serie Generale n. 306 del 31-12-2004. Suppl Ordinario n. 192.

[5] Campari M. La variabilità dei consumi. In: Salute e Territorio. I livelli essenziali di assistenza. Edizioni ETS s.r.l., Pisa, N. 164, 2007.

[6] Sirchia G. Spunti per una sanità migliore. Edizioni Piccin 2010. Pagg. 9, 79 – 81.

Sostenere i servizi di urgenza ed emergenza

A fianco di ogni DEA (Dipartimento di Emergenza e Urgenza) bisogna predisporre un presidio ambulatoriale di cure primarie che operi ininterrottamente e che possa disporre di specialisti territoriali e/o ospedalieri, per le patologie urgenti che non comportino rischi per la vita e che oggi gravano sui DEA intasandoli. Il modello è stato proposto dalla Commissione Regionale per lo Sviluppo Sanità della Lombardia per Milano in occasione dell’Expo 2015 (vedi il mio blog https://girolamosirchia.org/2014/09/10/expo-2015-sanita-2) e oggi viene raccomandato dai Royal Colleges inglesi insieme ad altri 12 punti per alleggerire il lavoro dei DEA, in forma semplificata, ossia come puro e semplice ambulatorio dei Medici di Famiglia, che operi alla porta dei DEA, extra-orario per un adeguato numero di ore, possibilmente affiancato anche dai medici della continuità assistenziale e dagli specializzandi.

(BMJ 2014;349:g4654)

Copiare è utile

Anche per i sistemi di organizzazione e gestione dei servizi pubblici (e quindi per le cosiddette riforme) conoscere e copiare le iniziative di successo realizzate in altri Paesi è un grande segreto. Non è quindi per niente apprezzabile il comportamento di coloro che non copiano (che non fanno come i giapponesi e i cinesi) perché ottengono risultati inferiori e tardivi rispetto a coloro che utilizzano le esperienze altrui a proprio vantaggio.

(Anderson GF et al. Reevaluating “Made in America” – Two cost-containment ideas from abroad. New Engl J Med 368, 2247-49, 2013)