No Tobacco Day 2023

 Riprende il contrasto ai prodotti da fumo (?)

 Girolamo Sirchia

In questa tarda primavera 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo aver dichiarato ufficialmente terminata l’epidemia di Covid-19, ha ripreso la sua azione di contrasto al tabacco e agli altri prodotti da fumo contenenti nicotina. Vent’anni or sono l’Organizzazione Mondiale della Sanità fu promotrice della Convenzione Quadro per il Controllo sul Tabacco che vede l’adesione vincolante di 192 Nazioni ad impedire che l’industria del tabacco continui ad ostacolare le politiche di salute pubblica. Essa attua da anni iniziative di disinformazione dell’opinione pubblica circa la pericolosità dei suoi prodotti, occultando e mistificando con mezzi di ogni genere i risultati della ricerca scientifica indipendente, ma anche iniziative lobbistiche pervasive che riescono anche a bloccare provvedimenti governativi che possono nuocere ai suoi interessi e che in Italia dovrebbero interessare vari ambiti. Serve un ventaglio di iniziative di contrasto che includa le seguenti:

1.         l’Istituto Superiore di Sanità dovrebbe regolare e controllare il contenuto dei prodotti da fumo, specie il contenuto di nicotina;

2.         eliminare i contributi ai coltivatori di tabacco e incentivare la conversione delle colture di tabacco in prodotti remunerativi di tipo alimentare;

3.         vietare le donazioni e il sovvenzionamento della ricerca degli Enti di ricerca da parte dei produttori dei prodotti da fumo;

4.         aumentare progressivamente le accise sui prodotti da fumo e destinare i proventi alle azioni di contrasto;

5.         tassare le colture di tabacco perché inquinanti e dannose all’ambiente e ai lavoratori;

6.         divieto per tutti gli Enti che percepiscono fondi statali di effettuare contratti con i produttori di tabacco e altri prodotti da fumo. Unica ricerca ammessa è quella indipendente (certificata da AIFA, ISS, ecc.);

7.         divieto di fumare nei luoghi assembrati pubblici e privati, nei presidi sanitari e loro pertinenze, nei parchi e sulle spiagge. Stretta sui controlli nei luoghi di lavoro per il rispetto del divieto di fumo;

8.         Nei luoghi di lavoro pause per fumatori regolate e non retribuite;

9.         Divieto di pubblicità anche indiretta (film, negozi di prodotti da svago, merci contrassegnate da marchi comuni o prodotti da fumo);

10.       Health in All Policy. Impatto sulla salute degli esseri viventi e sull’ambiente di tutti i provvedimenti emanati.

Anche la popolazione, oltre ai Governi, può e deve però avere un grande ruolo nel frenare le invadenze degli interessi di tutta la filiera del tabacco e degli altri prodotti da fumo: essa infatti potrebbe potenziare il biasimo sociale nei confronti di coloro che usano prodotti da fumo.

Impegno della comunità

Ognuno di noi ha la possibilità e il dovere morale di far capire a coloro che ci circondano che:

Fumare è una scelta individuale carica di responsabilità:

  • verso se stessi
  • verso la società
  • verso l’ambiente.

      Infatti provoca:

  1. danni alla salute propria e degli altri (fumo passivo)
  2. danno alla sanità (spese sanitarie a carico dello Stato)

coltivazioni

  • danno all’ambiente

mozziconi                   microplastiche

  • danno alle imprese (pausa fumo, assenza dal lavoro, assicurazioni incendi) e ai Comuni (mozziconi).

   Arroganza e mancanza di rispetto dei diritti di tutti i cittadini:

  •  costi (sanitari e sociali) pagati da tutti e non solo dai fumatori

–     danni al pianeta (non risarcibili)

–     diseguaglianze e ingiustizie [diritti e doveri uguali per tutti (Carta di Nizza[1])]

***

Chi provoca danno agli altri per propria scelta è riprovevole. Va biasimato dalla società e la società deve capire le ragioni di questo giudizio negativo.

***

Impegno dei cittadini

Far crescere il biasimo sociale per chi usa prodotti da fumo

perché crea danni (a sé, alla società, all’ambiente)

e diseguaglianze (pagano tutti e non solo chi fuma)

Milano, 10 maggio 2023


[1] – Art. 20 della Carta di Nizza (Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) proclamata

     il 7.2.2000 – Tutte le persone sono uguali di fronte alla legge (uguaglianza di diritti e doveri)

     (simile all’Art. 3 della Costituzione Italiana)


[1]

Guida delle Nazioni Unite

per invecchiare bene

Girolamo Sirchia

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha emanato una Risoluzione che dichiara la decade 2021-2030 “Decade dell’invecchiamento in salute”, con una Guida perché le città e le comunità, seguendo un Piano Nazionale, si impegnino a migliorare la salute e il benessere degli anziani. La Guida identifica 4 aree di intervento prioritario:

  1. Cambiare la nostra visione delle persone anziane e del loro ruolo nella sanità di oggi
  2. Promuovere le capacità lavorative e di studio degli anziani
  3. Promuovere servizi di cure primarie e di servizi sociali che rispondano ai loro bisogni
  4. Fornire servizi sanitari di lungo termine per coloro che non sono in grado di essere autonomi e di provvedere a sé stessi.

E’ innegabile che oggi vi è un grande bisogno di migliorare l’attenzione ad una popolazione che già rappresenta il 22% della popolazione italiana e che viene più spesso vissuta come una spesa improduttiva ed un ingombrante peso per la società. Questa discriminazione non è tollerabile dal punto di vista etico ed è oltre tutto miope, dato che tutti noi arriveremo a far parte di quella popolazione anziana a rischio di discriminazione e inaccettabile esclusione da molte opportunità.

Ogni anziano deve essere aiutato a vivere nella sua casa e nella sua comunità, autonomo e attivo nelle sue capacità, contornato da amici e famigliari oltre che da un contesto pronto a sostenerlo e a soddisfarne i bisogni sanitari e sociali, a promuoverne la salute, a prevenire i rischi, ad evitare le difficoltà legate all’età che avanza.

La raccomandazione è anche quella di vedere e capire quello che accade in altre comunità giacchè alcune di queste hanno adottato già soluzioni che soddisfano le necessità degli anziani e che possono quindi essere considerate e adattate. Servono evidentemente grandi leader per questo cambiamento, ma questi non mancano se vengono cercati e sostenuti, così come è accaduto nel recente passato anche in Italia.

Milano, 26 aprile 2023

Ipotesi di riforma strutturale

del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)

Girolamo Sirchia

Abbozziamo di seguito alcune idee per rispondere alla domanda: Quali sono le iniziative più efficaci per migliorare la sanità in Italia?

1. Le aspettative dei cittadini

In caso di necessità il cittadino si aspetta di poter accedere al più presto al suo medico curante che dovrebbe farsi carico di valutare la sua situazione e risolvere i suoi problemi direttamente o facendo ricorso ad altre competenze sanitarie, organizzando tutto il percorso necessario (presa in carico).

Un medico curante che egli si aspetta empatico, preparato e aggiornato professionalmente, che conosce il paziente e la sua storia sanitaria e sociale, sempre raggiungibile e disponibile ad ascoltarlo e visitarlo in ambulatorio o a domicilio. Il cittadino si attende anche che le prestazioni siano poco costose e avvengano in luoghi poco distanti da dove risiede. Il paziente deve poter riporre fiducia nel suo curante e saperlo amico premuroso.

2. Le aspettative del medico

Il medico desidera rispetto e considerazione dalla società proporzionali ai suoi meriti professionali e umani. Anche per questo è necessario che al medico venga offerta una carriera con vari livelli di responsabilità e connessi poteri, autonomia e guadagni. Il medico deve avere tempo per se stesso e la sua famiglia ma anche per aggiornamento professionale senza essere gravato da compiti che non gli sono propri e che lo distolgono dalla sua missione, ossia essere un buon medico e un professionista gradito oltre che ai pazienti anche ai colleghi e alla società in cui opera.  È ben noto che un medico soddisfatto del suo lavoro e della sua vita è fondamentale perché la qualità della sanità risulti buona e il paziente ben curato e soddisfatto.

Il medico che opera nel territorio, sia esso convenzionato o dipendente, sia che operi nel suo studio o presso strutture come le case e gli ospedali di comunità, deve poter disporre di collaboratori da lui stesso scelti ancorché retribuiti dal SSN: giovani medici assistenti, infermieri, impiegati, Oss, ecc.,

Ai medici curanti titolari con maggiore anzianità, esperienza e merito (a tutti gli effetti “Primari territoriali”) dovrebbe spettare anche il compito di nominare i Medici Direttori Generali delle ASL e delle strutture territoriali in essa contenute (Case e Ospedali di Comunità) nonché delle Guardie Mediche territoriali (Walk-in Centres). Queste ultime devono essere aperte quasi ininterrottamente per accogliere l’urgenza territoriale (non l’emergenza) così da porre fine al sovraffollamento dei DEA (Dipartimenti di Emergenza ed Urgenza), ma anche per offrire ai medici curanti second opinion e approfondimenti diagnostici e terapeutici quando necessario. Alla Regione competerà di nominare solo un Amministratore di Direzione che coadiuvi questi Primari territoriali e Direttori Generali medici con il compito di curare gli aspetti contabili e l’osservanza delle norme.

Nei grandi Ospedali di riferimento l’attività dei medici e del restante personale sanitario si svolgerà all’interno dei Dipartimenti, retti da un Capo Dipartimento, e nei reparti e servizi che vi afferiscono e che sono retti da un Primario medico. I Capi Dipartimento fanno parte dell’Ufficio di Direzione dell’Ospedale e nominano i nuovi Capi Dipartimento e il Direttore Generale medico dell’Ospedale, che sarà assistito da un Amministratore di nomina regionale come più sopra accennato.

La carriera del medico inizierà come assistente junior e potrà scalare per merito ad assistente senior, Aiuto, Primario, Capo Dipartimento, Direttore Generale medico, posizioni tutte a tempo ricoperte da persone scelte dall’Ufficio di Direzione dell’Ospedale. A partire dal Primario in su il medico potrà scegliere di non essere un dipendente, ma di avere un contratto di lavoro di tipo professionale privatistico.

3. L’architettura del sistema

L’Italia è bene che mantenga un SSN universalistico con un moderato co-payment al punto di erogazione di alcune prestazioni, come già attualmente avviene, per tutti coloro che non possiedono un certificato di indigenza rilasciato dai Comuni in base al tenore di vita; questo oggi può essere redatto più facilmente incrociando i dati già disponibili presso varie sorgenti, anche se ancora non facilmente raggiungibili. Un investimento per migliorare questi collegamenti sarebbe prezioso anche per un contrasto all’evasione fiscale e alla criminalità. In Germania dal 2006 è in vigore un modico co-payment anche per il medico curante territoriale. Tutti i co-payment peraltro potrebbero essere coperti da una polizza assicurativa.

Il SSN si basa su strutture di proprietà regionale o private accreditate e su personale convenzionato o dipendente. Un bilanciamento di queste risorse sarebbe auspicabile, anche per evitare pericolosi squilibri.

In ogni caso è necessario salvaguardare la missione del sistema. Le strutture sanitarie pubbliche sono state definite aziende ma oggi l’impostazione di queste aziende (che sono rette da un Direttore Generale spesso non medico, dotato di poteri molto ampi, nominato dalla Regione) ha dato risultati spesso insoddisfacenti. Queste strutture devono essere “aziende sanitarie speciali”, più simili a un condominio che a un’azienda monocratica vecchia maniera e devono essere fortemente improntate al rispetto della loro missione filantropica prima che ad altro. La Regione non deve entrare nella gestione di queste aziende speciali, ma concentrarsi sui compiti suoi propri ossia il finanziamento, la programmazione e il controllo, centrato sulla valutazione della correttezza della gestione e dei risultati ottenuti. Con il potente strumento dell’accreditamento a tempo e la nomina dell’amministratore di direzione la Regione puo avere il pieno controllo del sistema senza interferire con la gestione delle strutture pubbliche di sua proprietà, che nel disegno qui proposto potranno avvalersi di una gestione di tipo imprenditoriale privatistico, liberandosi di tutti quei vincoli che oggi non consentono alle strutture pubbliche di competere ad armi pari con quelle private.

4. Il finanziamento del sistema

Nel Paesi europei più evoluti la spesa sanitaria costituisce il 10-12% del PIL adeguato annualmente al costo della vita. Anche in Italia dobbiamo arrivare a questo livello di spesa sanitaria costituendo un fondo sanitario nazionale alimentato dalla fiscalità generale e non incluso nel più generale capitolo dell’assistenza, ossia della spesa improduttiva cui afferiscono pensioni, assegni di sostegno, ecc.

La sanità per consenso internazionale è un potente motore di sviluppo socioeconomico e come tale va valorizzata. Il fondo sanitario nazionale dovrebbe finanziare l’assistenza sanitaria che afferisce ai poteri regionali ma anche la prevenzione costo-efficace e la promozione della salute che dovrebbero essere disegnate e gestite a livello centrale in collaborazione con le Regioni. Questi ambiti non hanno finora ricevuto in Italia l’attenzione che meritano e le conseguenze le abbiamo potuto rilevare anche recentemente con l’epidemia di Covid-19. La prevenzione è stata più volte definita l’investimento con più alto ritorno.

 È necessario a questo proposito ricordare che:

a)  la presidenza del Consiglio dei Ministri dovrebbe predisporre e aggiornare un Piano di salute pubblica che includa prevenzione e promozione della salute in tutti i suoi aspetti, compresa la composizione dei contrasti fra interessi pubblici e interessi privati (fumo di tabacco, alcol, alimentazione, ecc.), valutando l’impatto sulla salute pubblica dei provvedimenti emanati a vari livelli istituzionali nello spirito della Health in All Policy. È superfluo ricordare che questo Piano deve prevedere finanziamenti ad hoc pari ad almeno il 2-3% del PIL, provenienti dal fondo sanitario nazionale;

b)  il benessere della popolazione (cioè il motore di sviluppo) non è legato solo alla sanità, ma forse e anche più alla salute dell’ambiente e degli animali (One Health) e soprattutto ai determinanti socio-economici della salute (famiglia, casa, lavoro, reddito, ecc.).

Infine è necessario riflettere sui tre seguenti punti:

1)  è urgente investire sull’aggiornamento e la motivazione del personale sanitario che oggi è scesa a livelli molto bassi a causa dei difetti dell’attuale sistema, che ha marginalizzato i medici nella decisione, non ne ha tutelato il ruolo sociale e ne ha sottoposto l’operato a figure professionali non mediche di tipo amministrativo,

2) il sottofinanziamento della sanità per oltre un decennio nel nome dell’austerity ha compromesso seriamente il SSN, creando anche diseguaglianze di salute tanto vistose da meritare la definizione di “morte per mano della politica” (Abbasi K., Capo Redattore del British Medical Journal, 2020);

3)  qualunque cambiamento, incluso quello qui proposto, per avere successo richiede una fase preliminare di studio e conoscenza delle esperienze nazionali e internazionali, seguita da una sperimentazione su piccola scala del sistema disegnato, da realizzare anche con il coinvolgimento degli operatori ormai sfiduciati e stanchi di continue riforme poco efficaci, troppo spesso basate su ideologie piuttosto che su valutazioni scientifiche.

In conclusione credo che il nostro Servizio Sanitario Nazionale debba essere salvato perché dotato di pregi innegabili. Per sopravvivere però esso deve essere emendato correggendo i difetti che lo hanno guastato e principalmente il sottofinanziamento cronico, la scarsa competenza e la limitata vision dei decisori, l’eccessiva gabbia burocratica che affligge tutto il Paese, lo scarso pragmatismo e la troppa ideologia delle nostre riforme e controriforme.

“pubblicato su Il Foglio Informazioni ANPO, numero 92 gennaio-maggio 2023”

Milano, 3 aprile 2023

20 anni della legge per la tutela dei non fumatori

  Girolamo Sirchia

La legge del 2003 (attuata nel 2005) ha funzionato e funziona ancora bene perché difesa dalla popolazione (nessuno oggi fuma al ristorante o sul treno perché attirerebbe biasimo sociale). Ma le Multinazionali continuano il loro lavoro di penetrazione, mentre lo Stato è quasi del tutto inerte. La legge del 2003 era solo il primo intervento di contrasto al fumo che, ricordiamo, provoca 80.000 morti l’anno e 2,5 milioni di malati cronici in Italia. Altri provvedimenti avrebbero dovuto seguire:

1)      progressiva estensione del divieto di fumo: dehors, parchi pubblici, luoghi assembrati;

2)      controllo più frequente sull’osservanza dei divieti;

3)      estensione progressiva dei divieti nei luoghi assembrati, anche se in tutto o in parte (dehors di bar e ristoranti, stadi, ecc.) e nei parchi pubblici;

4)      prevenzione dell’iniziazione al fumo dei giovani e non solo, che sono oggi a maggior rischio anche per l’investimento fatto dai produttori su e-cig e IQOS che inducono ad uso duale, vengono percepiti come poco dannosi (riduzione del danno!), come mezzo per smettere di fumare tabacco, come leciti in ogni ambiente. Di questi nuovi prodotti manca una regolamentazione ministeriale;

5)      conversione delle colture del tabacco (che sono molto inquinanti) e divieto di disperdere i mozziconi nell’ambiente (inquinamento ambientale), cui si associano contaminazione dell’aria con gas nocivi e polveri sottili.

Di tutto questo nulla è stato fatto, il Ministero dell’Agricoltura ha fatto contratti con Philip Morris per la cessione del tabacco italiano e per potenziare i coltivatori e le coltivazioni italiane, in aperta contraddizione con la salute pubblica.

Due Presidenti del Consiglio e importanti esponenti politici hanno visitato e inaugurato due stabilimenti di produzione IQOS in Emilia (a Crespellano), dando segnali chiari di sostenere Philip Morris nel nome dei posti di lavoro e dei finanziamenti per ricerca (sic!)  che questi dicono di fare.

Manca un piano per la tutela della salute pubblica e della promozione della salute fatto e gestito dal Governo e non da singoli Ministeri, malgrado l’adesione dell’Italia a “Health in all policy”.

Concludo con due riflessioni: 1. Gran parte della popolazione è molto attenta alla propria salute e lo dimostra l’assidua frequentazione delle farmacie e il grande numero e tipo di prodotti che vengono acquistati. Ma poca è l’attenzione di queste stesse persone ad una pratica (il fumo) che accorcia di 10 anni la vita, aggrava ben 27 malattie e genera 80.000 morti premature l’anno solo in Italia. 2. Credo che molta causa di questa inconsapevolezza sia da ricercare nel silenzio che avvolge questa realtà. Il silenzio è il migliore alleato dei produttori di sigarette e il primo rimedio sarebbe di parlarne continuamente nei mass media, specie ad opera di persone autorevoli e influenti.

 

Milano, 16 gennaio 2023

Quello che vorrei trovare nei programmi elettorali del 2022 per la Sanità

L’idea di aziendalizzare la sanità nacque intorno alla metà degli anni ’80 del Novecento all’epoca del cosiddetto Manifesto Bianco per i grandi Ospedali pubblici da parte dei clinici milanesi Sirchia, Veronesi, Boeri, Zanussi e Cornelio onde porre rimedio ad una gestione a dir poco inadeguata di USL e Ospedali e per mettere sotto controllo i loro costi crescenti e non bene giustificati: già infatti era chiaro che le regole della pubblica amministrazione fatte per i servizi di tipo burocratico mal si adattavano a servizi sanitari di tipo imprenditoriale.
L’aziendalizzazione non fu una buona idea per almeno due motivi: 1) non si era precisata quale forma di azienda fosse più opportuna. A me sembra che l’Ospedale potrebbe essere più simile ad un condominio che ad un’azienda, cioè ad un soggetto economico. Il condominio è amministrato da un Amministratore che cura la contabilità, ma si muove solo dopo approvazione della maggioranza dei condomini; nel nostro caso dei Primari (o Capi Dipartimento), identificati da un Collegio di Direzione coordinato da un Direttore Medico su criteri oggettivi di merito. 2) gli economisti e le loro Università colsero questa nuova occasione per realizzare, in accordo con le Regioni, una sorta di azienda di antico stampo (quella di tipo padronale con un unico vertice che comanda e controlla) dove un laureato in discipline economiche, o comunque non mediche, designato dalle Regioni riunisce in sé tutti i poteri di gestione senza dover condividere nulla con il personale medico e non medico che gli dipende.
Nacque così la sanità che oggi è sotto i nostri occhi dove l’obiettivo principale del direttore generale è di tipo economico e ben poco attento a promuovere il benessere di malati e personale sanitario: spesso decide tutto chi non conosce ed è poco interessato a conoscere le finalità vere dell’azienda che governa. Peraltro la spesa sanitaria continua a crescere con il risultato che sono tutti scontenti.
L’epidemia di Covid ha dimostrato che l’incapacità regna sovrana in chi è preposto al governo della sanità. Ci siamo trovati addirittura con un numero insufficiente di medici senza adeguate protezioni individuali, senza scorte strategiche, addirittura senza un piano pandemico nazionale, senza la capacità di comunicare i rischi alla popolazione e ai sanitari; i pazienti si sono trovati soli con gravi difficoltà di accesso all’assistenza medica anche se il personale sanitario si è fatto onore ed ha pagato un caro prezzo. Responsabilità gravissime ma attese in una sanità governata da non medici dove i medici non hanno voce.
Oggi il Servizio Sanitario Nazionale non è più quello che ha visto la luce nel 1978: la cosa in sé è normale, ma non è normale che l’efficienza dei servizi e delle strutture pubbliche sia calata fino a renderli marginali e sia spesso inferiore a quella di organizzazioni private. Oggi è a tutti chiaro che vi sono forti diseguaglianze nel servizio ai pazienti, che la centralità dei pazienti è una mera illusione, che il cinismo è crescente e che il denaro governa la sanità. Il malessere crescente ha stimolato un grande numero di riforme che peraltro non sono riuscite a controllare il malessere e lo scontento della popolazione e si sono limitate a modificare alcuni aspetti organizzativi della sanità creando peraltro servizi sanitari differenti da Regione a Regione, differenze difficilmente comprensibili in un Servizio Sanitario che dovrebbe rispettare equità di trattamento a tutti i cittadini italiani ovunque si trovino. Finora è mancato il coraggio di ripartire dalle necessità dei pazienti e del personale, dall’equità e dall’efficienza dei servizi sanitari erogati per ripristinare quei valori che tutti gli Italiani si aspettano.
Perché tutto questo avvenga dobbiamo innanzitutto darci il tempo per studiare e l’umiltà di copiare le soluzioni organizzative e gestionali che hanno dato i migliori risultati sia in Italia che all’estero. Una riforma sanitaria seria non può essere improvvisata, non può fare a meno di una sperimentazione su piccola scala prima di essere estesa a tutto il territorio e deve avvenire per gradi all’interno di un disegno complessivo, ma soprattutto deve essere condivisa con tutte le forze del Paese e gestita dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti delle Regioni e non solo da singoli Ministeri. In caso contrario essa genera confusione e demotivazione del personale e sfiducia nella popolazione.
Dobbiamo studiare e scegliere il modello di sanità che più si adatta all’Italia, liberare il campo da slogan, ideologie preconcette, strumentalizzazioni elettorali. Una volta individuato il modello di organizzazione più adatto il secondo obiettivo deve essere quello di rimotivare il personale: non esiste buona sanità senza medici e infermieri motivati. “Make the doctor happy” è il segreto di un grande gruppo americano per rendere contenta la clientela; il personale cura bene i pazienti se la sua motivazione è forte, se il suo merito è riconosciuto, se il suo ruolo nella società valorizzato. Dobbiamo a questo personale se ancora oggi il Servizio Sanitario Nazionale italiano continua ad esistere e funzionare, sia pure con grave affanno.
Serve subito un piano di aggiornamento e di motivazione dei medici e del restante personale. Dobbiamo ricostruire per loro una carriera premiante, riconoscere e valorizzare il merito, ridare loro un ruolo sociale e professionale. Meno regole calate dall’alto e più autonomia di chi lavora in trincea.
Dovremmo anche chiederci se vogliamo continuare ad avere un Ospedale pubblico di proprietà della Regione e da questa finanziato e gestito con le regole della pubblica amministrazione, pensata per servizi di tipo burocratico ma inadatta a gestire un’attività di tipo imprenditoriale. Ci dobbiamo chiedere se non è più utile che la Regione limiti il suo ruolo a definire e verificare i compiti di ogni Ospedale accreditato e ne sorvegli sistematicamente il rispetto, ma conceda la gestione a enti non di profitto (Fondazioni di diritto privato od altro) che diano garanzia di capacità e onestà e comunque siano tenuti sotto stretto controllo. Sarà compito della Regione organizzare e gestire direttamente o indirettamente le visite annuali di una Commissione ispettiva per l’accreditamento mentre lo Stato centrale dovrà definire gli standard di quantità, qualità e costo dei principali Lea, il cui rispetto deve essere verificato dalla Commissione per il mantenimento dell’accreditamento da parte dell’Ospedale visitato. Purtroppo lo Stato centrale è in grave ritardo nella definizione dei suddetti standard, malgrado lo studio dello standard di quantità sia stato avviato già nel 2003 da parte del Ministero della Salute (Campari e coll).
Il riordino della medicina territoriale, altro fondamentale obiettivo della riforma, è allo studio da parte di diversi autori e una versione è stata anche da me proposta (vedi). Personalmente raccomando che essa non si limiti a disegni organizzativi e ad aspetti contrattuali ma investa soprattutto nella valorizzazione del medico curante; curante e non di base o di famiglia o generico perché esso deve diventare il medico di fiducia dei suoi assistiti, aggiornato e motivato. Perché ciò accada bisogna ridurre il carico di lavoro che gli è stato imposto specie quello improprio; egli deve avere il tempo per sé e per la professione, riducendo a non più di 500-800 persone i suoi assistiti. Deve essere portato a livello dei medici ospedalieri per dignità, ruolo sociale, capacità e considerazione dei pazienti. Deve disporre di una carriera e di posizioni universitarie. Finché sarà considerato solo il medico che fa le ricette il problema della medicina territoriale non sarà risolto. Per realizzare tutto questo ci vuole uno sforzo davvero importante e non solo economico.
Un’ulteriore priorità è infine costituita dalla promozione della salute pubblica e della sua tutela anche tramite la prevenzione primaria proattiva a basso costo, oggi possibile con mezzi relativamente semplici (vedi mio blog).
Molte delle enormi risorse spese per la cura (20 miliardi di Euro spesi nel 2021 solo per i farmaci!) potrebbero essere risparmiate se si individuassero e si monitorassero i soggetti a più elevato rischio di sviluppare le più importanti patologie che affliggono la popolazione (cosiddetto Screen and Treat) e si contrastassero seriamente stili di vita non salutari e relativi a interessi organizzati che ne favoriscono la diffusione. Anche di questo ho scritto più volte (blog) e non manca certo una bibliografia più ampia e autorevole.
A proposito di carriera dei medici basata sul merito, ritengo fondamentale ripristinare per i medici ospedalieri le posizioni di direttori, vicedirettori, assistenti senior e junior, specializzandi, volontari frequentatori e legare proporzionalmente ad ogni posizione poteri e responsabilità nonché retribuzione. Bisogna che il Capo Dipartimento o Direttore abbia poteri di gestire il proprio Dipartimento, aggiornare il personale, valutarne il portfolio della conoscenza. Un tempo il Primario era autorevole in quanto scelto in base ad un curriculum basato sul merito, egli era tra i migliori del suo campo ed aveva il potere di organizzare e gestire tutto il personale medico e non medico che vi afferiva. L’amministrazione centrale lo rispettava e ne assecondava le richieste. Oggi non è più così: non sempre il Primario è il migliore della disciplina e non gestisce più il suo personale che addirittura dipende, per infermieri e amministrativi, da un altro responsabile che ne dispone a sua discrezione. Tutti i medici sono dirigenti e sono state cancellate le Scuole di Medicina dove ognuno di noi ha fatto la gavetta e imparato il mestiere. L’amministrazione centrale non ha rispetto per questo Primario e spesso non lo interpella nelle decisioni che prende anche se relative al suo reparto. I medici e gli altri sanitari sono diventati una qualsiasi mano d’opera senza autonomia, ma con grande carico di incombenze e responsabilità.
Nell’interesse del personale e dei pazienti bisogna riportare in capo al Primario la gestione del reparto con relativi poteri e responsabilità per quanto concerne la qualità dell’assistenza e della gestione. Dato che la condizione di oggi è molto più complessa di quella di 50 anni fa il Primario deve poter disporre di una squadra di specialisti con funzioni diverse con cui condividere scelte e responsabilità. Fra questi anche personale amministrativo che lo deve assistere per negoziare con L’amministrazione centrale un budget che se approvato gli dovrà consentire ampia possibilità di azione, inclusi incarichi professionali a termine, ordine di spesa, incentivi economici e promozione del proprio personale in analogia a quello che è un Direttore di divisione in un’industria moderna. Lo stipendio del personale, incluso il Primario, deve prevedere una base fissa e una variabile di almeno il 30% erogata a fine anno in base ai risultati perseguiti.
Anche l’aggiornamento del personale deve rientrare fra i compiti del Primario, possibilmente organizzato come portfolio della conoscenza e dell’esperienza come previsto dal CPD (vedi “Spunti per una sanità migliore”).
Solo così si potranno selezionare i migliori, stabilirne il merito e ridare autorevolezza ai medici levando i poteri decisionali a chi non sa ed è estraneo ai valori della medicina. I Primari migliori potranno poi essere scelti dall’Università per andare in cattedra, cosicché cessi anche l’odioso fenomeno per cui molti cattedratici non eccellono nell’assistenza gettando così discredito sull’Università. Da subito, e prioritariamente, è però necessario che finisca la malsana ed errata concezione che la Sanità sia un costo improduttivo, malgrado le evidenze contrarie. Lo Stato spende per la salute degli Italiani il 6,5% circa del PIL contro il 10-12% di quanto spendono gli Stati europei più avanzati. E’ ora che finisca il tempo dei cattivi maestri e dell’ austerity che essi predicano e che hanno contribuito largamente a dissestare il nostro Servizio Sanitario Nazionale.