20 anni della legge per la tutela dei non fumatori

  Girolamo Sirchia

La legge del 2003 (attuata nel 2005) ha funzionato e funziona ancora bene perché difesa dalla popolazione (nessuno oggi fuma al ristorante o sul treno perché attirerebbe biasimo sociale). Ma le Multinazionali continuano il loro lavoro di penetrazione, mentre lo Stato è quasi del tutto inerte. La legge del 2003 era solo il primo intervento di contrasto al fumo che, ricordiamo, provoca 80.000 morti l’anno e 2,5 milioni di malati cronici in Italia. Altri provvedimenti avrebbero dovuto seguire:

1)      progressiva estensione del divieto di fumo: dehors, parchi pubblici, luoghi assembrati;

2)      controllo più frequente sull’osservanza dei divieti;

3)      estensione progressiva dei divieti nei luoghi assembrati, anche se in tutto o in parte (dehors di bar e ristoranti, stadi, ecc.) e nei parchi pubblici;

4)      prevenzione dell’iniziazione al fumo dei giovani e non solo, che sono oggi a maggior rischio anche per l’investimento fatto dai produttori su e-cig e IQOS che inducono ad uso duale, vengono percepiti come poco dannosi (riduzione del danno!), come mezzo per smettere di fumare tabacco, come leciti in ogni ambiente. Di questi nuovi prodotti manca una regolamentazione ministeriale;

5)      conversione delle colture del tabacco (che sono molto inquinanti) e divieto di disperdere i mozziconi nell’ambiente (inquinamento ambientale), cui si associano contaminazione dell’aria con gas nocivi e polveri sottili.

Di tutto questo nulla è stato fatto, il Ministero dell’Agricoltura ha fatto contratti con Philip Morris per la cessione del tabacco italiano e per potenziare i coltivatori e le coltivazioni italiane, in aperta contraddizione con la salute pubblica.

Due Presidenti del Consiglio e importanti esponenti politici hanno visitato e inaugurato due stabilimenti di produzione IQOS in Emilia (a Crespellano), dando segnali chiari di sostenere Philip Morris nel nome dei posti di lavoro e dei finanziamenti per ricerca (sic!)  che questi dicono di fare.

Manca un piano per la tutela della salute pubblica e della promozione della salute fatto e gestito dal Governo e non da singoli Ministeri, malgrado l’adesione dell’Italia a “Health in all policy”.

Concludo con due riflessioni: 1. Gran parte della popolazione è molto attenta alla propria salute e lo dimostra l’assidua frequentazione delle farmacie e il grande numero e tipo di prodotti che vengono acquistati. Ma poca è l’attenzione di queste stesse persone ad una pratica (il fumo) che accorcia di 10 anni la vita, aggrava ben 27 malattie e genera 80.000 morti premature l’anno solo in Italia. 2. Credo che molta causa di questa inconsapevolezza sia da ricercare nel silenzio che avvolge questa realtà. Il silenzio è il migliore alleato dei produttori di sigarette e il primo rimedio sarebbe di parlarne continuamente nei mass media, specie ad opera di persone autorevoli e influenti.

 

Milano, 16 gennaio 2023

Quello che vorrei trovare nei programmi elettorali del 2022 per la Sanità

L’idea di aziendalizzare la sanità nacque intorno alla metà degli anni ’80 del Novecento all’epoca del cosiddetto Manifesto Bianco per i grandi Ospedali pubblici da parte dei clinici milanesi Sirchia, Veronesi, Boeri, Zanussi e Cornelio onde porre rimedio ad una gestione a dir poco inadeguata di USL e Ospedali e per mettere sotto controllo i loro costi crescenti e non bene giustificati: già infatti era chiaro che le regole della pubblica amministrazione fatte per i servizi di tipo burocratico mal si adattavano a servizi sanitari di tipo imprenditoriale.
L’aziendalizzazione non fu una buona idea per almeno due motivi: 1) non si era precisata quale forma di azienda fosse più opportuna. A me sembra che l’Ospedale potrebbe essere più simile ad un condominio che ad un’azienda, cioè ad un soggetto economico. Il condominio è amministrato da un Amministratore che cura la contabilità, ma si muove solo dopo approvazione della maggioranza dei condomini; nel nostro caso dei Primari (o Capi Dipartimento), identificati da un Collegio di Direzione coordinato da un Direttore Medico su criteri oggettivi di merito. 2) gli economisti e le loro Università colsero questa nuova occasione per realizzare, in accordo con le Regioni, una sorta di azienda di antico stampo (quella di tipo padronale con un unico vertice che comanda e controlla) dove un laureato in discipline economiche, o comunque non mediche, designato dalle Regioni riunisce in sé tutti i poteri di gestione senza dover condividere nulla con il personale medico e non medico che gli dipende.
Nacque così la sanità che oggi è sotto i nostri occhi dove l’obiettivo principale del direttore generale è di tipo economico e ben poco attento a promuovere il benessere di malati e personale sanitario: spesso decide tutto chi non conosce ed è poco interessato a conoscere le finalità vere dell’azienda che governa. Peraltro la spesa sanitaria continua a crescere con il risultato che sono tutti scontenti.
L’epidemia di Covid ha dimostrato che l’incapacità regna sovrana in chi è preposto al governo della sanità. Ci siamo trovati addirittura con un numero insufficiente di medici senza adeguate protezioni individuali, senza scorte strategiche, addirittura senza un piano pandemico nazionale, senza la capacità di comunicare i rischi alla popolazione e ai sanitari; i pazienti si sono trovati soli con gravi difficoltà di accesso all’assistenza medica anche se il personale sanitario si è fatto onore ed ha pagato un caro prezzo. Responsabilità gravissime ma attese in una sanità governata da non medici dove i medici non hanno voce.
Oggi il Servizio Sanitario Nazionale non è più quello che ha visto la luce nel 1978: la cosa in sé è normale, ma non è normale che l’efficienza dei servizi e delle strutture pubbliche sia calata fino a renderli marginali e sia spesso inferiore a quella di organizzazioni private. Oggi è a tutti chiaro che vi sono forti diseguaglianze nel servizio ai pazienti, che la centralità dei pazienti è una mera illusione, che il cinismo è crescente e che il denaro governa la sanità. Il malessere crescente ha stimolato un grande numero di riforme che peraltro non sono riuscite a controllare il malessere e lo scontento della popolazione e si sono limitate a modificare alcuni aspetti organizzativi della sanità creando peraltro servizi sanitari differenti da Regione a Regione, differenze difficilmente comprensibili in un Servizio Sanitario che dovrebbe rispettare equità di trattamento a tutti i cittadini italiani ovunque si trovino. Finora è mancato il coraggio di ripartire dalle necessità dei pazienti e del personale, dall’equità e dall’efficienza dei servizi sanitari erogati per ripristinare quei valori che tutti gli Italiani si aspettano.
Perché tutto questo avvenga dobbiamo innanzitutto darci il tempo per studiare e l’umiltà di copiare le soluzioni organizzative e gestionali che hanno dato i migliori risultati sia in Italia che all’estero. Una riforma sanitaria seria non può essere improvvisata, non può fare a meno di una sperimentazione su piccola scala prima di essere estesa a tutto il territorio e deve avvenire per gradi all’interno di un disegno complessivo, ma soprattutto deve essere condivisa con tutte le forze del Paese e gestita dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti delle Regioni e non solo da singoli Ministeri. In caso contrario essa genera confusione e demotivazione del personale e sfiducia nella popolazione.
Dobbiamo studiare e scegliere il modello di sanità che più si adatta all’Italia, liberare il campo da slogan, ideologie preconcette, strumentalizzazioni elettorali. Una volta individuato il modello di organizzazione più adatto il secondo obiettivo deve essere quello di rimotivare il personale: non esiste buona sanità senza medici e infermieri motivati. “Make the doctor happy” è il segreto di un grande gruppo americano per rendere contenta la clientela; il personale cura bene i pazienti se la sua motivazione è forte, se il suo merito è riconosciuto, se il suo ruolo nella società valorizzato. Dobbiamo a questo personale se ancora oggi il Servizio Sanitario Nazionale italiano continua ad esistere e funzionare, sia pure con grave affanno.
Serve subito un piano di aggiornamento e di motivazione dei medici e del restante personale. Dobbiamo ricostruire per loro una carriera premiante, riconoscere e valorizzare il merito, ridare loro un ruolo sociale e professionale. Meno regole calate dall’alto e più autonomia di chi lavora in trincea.
Dovremmo anche chiederci se vogliamo continuare ad avere un Ospedale pubblico di proprietà della Regione e da questa finanziato e gestito con le regole della pubblica amministrazione, pensata per servizi di tipo burocratico ma inadatta a gestire un’attività di tipo imprenditoriale. Ci dobbiamo chiedere se non è più utile che la Regione limiti il suo ruolo a definire e verificare i compiti di ogni Ospedale accreditato e ne sorvegli sistematicamente il rispetto, ma conceda la gestione a enti non di profitto (Fondazioni di diritto privato od altro) che diano garanzia di capacità e onestà e comunque siano tenuti sotto stretto controllo. Sarà compito della Regione organizzare e gestire direttamente o indirettamente le visite annuali di una Commissione ispettiva per l’accreditamento mentre lo Stato centrale dovrà definire gli standard di quantità, qualità e costo dei principali Lea, il cui rispetto deve essere verificato dalla Commissione per il mantenimento dell’accreditamento da parte dell’Ospedale visitato. Purtroppo lo Stato centrale è in grave ritardo nella definizione dei suddetti standard, malgrado lo studio dello standard di quantità sia stato avviato già nel 2003 da parte del Ministero della Salute (Campari e coll).
Il riordino della medicina territoriale, altro fondamentale obiettivo della riforma, è allo studio da parte di diversi autori e una versione è stata anche da me proposta (vedi). Personalmente raccomando che essa non si limiti a disegni organizzativi e ad aspetti contrattuali ma investa soprattutto nella valorizzazione del medico curante; curante e non di base o di famiglia o generico perché esso deve diventare il medico di fiducia dei suoi assistiti, aggiornato e motivato. Perché ciò accada bisogna ridurre il carico di lavoro che gli è stato imposto specie quello improprio; egli deve avere il tempo per sé e per la professione, riducendo a non più di 500-800 persone i suoi assistiti. Deve essere portato a livello dei medici ospedalieri per dignità, ruolo sociale, capacità e considerazione dei pazienti. Deve disporre di una carriera e di posizioni universitarie. Finché sarà considerato solo il medico che fa le ricette il problema della medicina territoriale non sarà risolto. Per realizzare tutto questo ci vuole uno sforzo davvero importante e non solo economico.
Un’ulteriore priorità è infine costituita dalla promozione della salute pubblica e della sua tutela anche tramite la prevenzione primaria proattiva a basso costo, oggi possibile con mezzi relativamente semplici (vedi mio blog).
Molte delle enormi risorse spese per la cura (20 miliardi di Euro spesi nel 2021 solo per i farmaci!) potrebbero essere risparmiate se si individuassero e si monitorassero i soggetti a più elevato rischio di sviluppare le più importanti patologie che affliggono la popolazione (cosiddetto Screen and Treat) e si contrastassero seriamente stili di vita non salutari e relativi a interessi organizzati che ne favoriscono la diffusione. Anche di questo ho scritto più volte (blog) e non manca certo una bibliografia più ampia e autorevole.
A proposito di carriera dei medici basata sul merito, ritengo fondamentale ripristinare per i medici ospedalieri le posizioni di direttori, vicedirettori, assistenti senior e junior, specializzandi, volontari frequentatori e legare proporzionalmente ad ogni posizione poteri e responsabilità nonché retribuzione. Bisogna che il Capo Dipartimento o Direttore abbia poteri di gestire il proprio Dipartimento, aggiornare il personale, valutarne il portfolio della conoscenza. Un tempo il Primario era autorevole in quanto scelto in base ad un curriculum basato sul merito, egli era tra i migliori del suo campo ed aveva il potere di organizzare e gestire tutto il personale medico e non medico che vi afferiva. L’amministrazione centrale lo rispettava e ne assecondava le richieste. Oggi non è più così: non sempre il Primario è il migliore della disciplina e non gestisce più il suo personale che addirittura dipende, per infermieri e amministrativi, da un altro responsabile che ne dispone a sua discrezione. Tutti i medici sono dirigenti e sono state cancellate le Scuole di Medicina dove ognuno di noi ha fatto la gavetta e imparato il mestiere. L’amministrazione centrale non ha rispetto per questo Primario e spesso non lo interpella nelle decisioni che prende anche se relative al suo reparto. I medici e gli altri sanitari sono diventati una qualsiasi mano d’opera senza autonomia, ma con grande carico di incombenze e responsabilità.
Nell’interesse del personale e dei pazienti bisogna riportare in capo al Primario la gestione del reparto con relativi poteri e responsabilità per quanto concerne la qualità dell’assistenza e della gestione. Dato che la condizione di oggi è molto più complessa di quella di 50 anni fa il Primario deve poter disporre di una squadra di specialisti con funzioni diverse con cui condividere scelte e responsabilità. Fra questi anche personale amministrativo che lo deve assistere per negoziare con L’amministrazione centrale un budget che se approvato gli dovrà consentire ampia possibilità di azione, inclusi incarichi professionali a termine, ordine di spesa, incentivi economici e promozione del proprio personale in analogia a quello che è un Direttore di divisione in un’industria moderna. Lo stipendio del personale, incluso il Primario, deve prevedere una base fissa e una variabile di almeno il 30% erogata a fine anno in base ai risultati perseguiti.
Anche l’aggiornamento del personale deve rientrare fra i compiti del Primario, possibilmente organizzato come portfolio della conoscenza e dell’esperienza come previsto dal CPD (vedi “Spunti per una sanità migliore”).
Solo così si potranno selezionare i migliori, stabilirne il merito e ridare autorevolezza ai medici levando i poteri decisionali a chi non sa ed è estraneo ai valori della medicina. I Primari migliori potranno poi essere scelti dall’Università per andare in cattedra, cosicché cessi anche l’odioso fenomeno per cui molti cattedratici non eccellono nell’assistenza gettando così discredito sull’Università. Da subito, e prioritariamente, è però necessario che finisca la malsana ed errata concezione che la Sanità sia un costo improduttivo, malgrado le evidenze contrarie. Lo Stato spende per la salute degli Italiani il 6,5% circa del PIL contro il 10-12% di quanto spendono gli Stati europei più avanzati. E’ ora che finisca il tempo dei cattivi maestri e dell’ austerity che essi predicano e che hanno contribuito largamente a dissestare il nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Il Partito Italiano dei Conservatori (Tories Italiani)

Conservatore non è colui che celebra il passato e sogna di farlo rivivere; questi è un infelice nostalgico senza futuro. Conservatore è colui che rifugge dai cambiamenti radicali e per lo più improvvisati e non studiati, dagli estremismi e fanatismi, dal populismo demagogico, dagli idoli delle folle (spesso inconsistenti e passeggeri).
Le sue regole sono: 1) la moderazione è il segreto del bene vivere ed operare; 2) novità non significa necessariamente miglioramento, specie se improvvisata e non attentamente studiata, valutata e organizzata; 3) impegno per il bene comune.
Stiamo vivendo un periodo di continua improvvisazione con esito disastroso, in politica, nella finanza, persino nella scienza. Il risultato è sotto i nostri occhi: eventi climatici estremi, recessione economica, povertà crescente, epidemie, guerre, massiccia immigrazione clandestina, ecc.
Alla base ci sono gli istinti incontrollati degli esseri umani non adeguatamente regolati. Conservatore è chi vuole un governo moderato, pragmatico, senza avventurismi, che sappia lavorare per il bene comune e abbia la forza di resistere agli interessi di pochi quando nuocciono a tutti gli altri. In Italia non esiste un Partito Conservatore, che si è esaurito con il governo di Cavour e di Sella. Oggi alcuni sentono questa mancanza e invocano un non ben definito partito di Centro o dei Moderati, di cui peraltro non sono in grado di definire scopi, confini, regole. Si usano continuamente slogan e concetti vaghi come democrazia, libertà, progresso, che come abbiamo visto per oltre mezzo secolo non sono in grado di tradursi in vantaggi concreti per i popoli È ora di capire a fondo come questi concetti debbano essere applicati e attuati per migliorare la condizione umana senza astrattismi e confusione.
Abbiamo bisogno di ricostruire un Partito Italiano dei Conservatori e di portarlo al governo del Paese allo scopo di salvarlo dal degrado morale, sociale ed economico in cui è precipitato.

Quale democrazia per la sanità

Il nostro sistema democratico è imperfetto perché è polarizzato (soprattutto in sanità) tra policy makers e interessi commerciali. Questi ultimi riescono facilmente a deviare le decisioni dall’interesse pubblico (salute pubblica) verso gli interessi di mercato (e di occupazione); prevalgono in altri termini i Determinanti Commerciali di Salute. Per evitare questa dannosa polarizzazione bisogna potenziare e includere nel processo di decisione la partecipazione sociale, cioè i Corpi Sociali più rappresentativi e indipendenti. Così si evita di trasformare la democrazia in autocrazia o forme di democrazia non liberali (e smentire il tertium non datur ossia l’esclusione di altre possibilità).
Perché ciò avvenga ci vuole però una continua vigilanza e trasparenza sull’indipendenza (cioè non collusione) di tali Corpi Sociali, e questo resta un grande punto di domanda: come assicurare questo requisito?

  • Dall’Alba R. et al. Yes, democracy is good for our health – but which democracy?
    Lancet online, 14 maggio 2022.
  • Horton R. Offline: is democracy good for your health?
    Lancet 2021, 398, 2060.
  • Ober J. Demopolis.
    Cambridge University Press, 2017.

Il profitto senza vincoli etici e i cambiamenti climatici

Tutti abbiamo sentito dire che è in atto un riscaldamento della Terra, e che questo fenomeno mette a serio rischio l’esistenza della vita sul pianeta. In effetti in poco più di un secolo (da fine ‘800 ad ora) la temperatura del globo è cresciuta di 1,1-1,2°C e la crescita continua incessante. Le conseguenze sono uno sconvolgimento climatico con un susseguirsi di eventi estremi, scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, crescita del livello dei mari, inondazioni, carestie, siccità e conseguenti ripercussioni sul mondo animale e sulla società umana, con migrazioni, diseguaglianze, violenza e guerre.
Io credo che sia opportuno però far capire alla gente perché e come si è arrivati a questo punto, così che tutti possano impegnarsi in prima persona a mettere un freno a questo degrado.
Alla base del fenomeno climatico vi è la liberazione nell’atmosfera dei cosiddetti gas serra, e primariamente di CO2, metano e polveri sottili che impongono un cappotto alla Terra riducendo la dispersione del calore generato dal sole. Ma da cosa dipende l’aumento atmosferico di gas serra? Due mi sembrano le principali cause.

  1. Il crescente numero di abitanti sulla Terra, che ha raggiunto quest’anno gli 8 miliardi con una crescita esponenziale, che si è raddoppiato dal 1900 (quando si stimava che il numero fosse di circa 1,6 miliardi) al 1950 (quando il numero raggiunse i 2,5 miliardi), e ha poi registrato oltre 6,1 miliardi alle soglie del 2000 e gli 8 miliardi nel 2022.
  2. Gli interessi di gruppi organizzati economicamente potenti che, seguendo il modello strategico messo in atto dai produttori di sigarette da oltre un secolo, hanno investito ingenti somme di denaro per creare modelli sociali di comportamento utili a generare consumi e profitti, anche se sganciati da vincoli etici, primariamente la salute e il benessere dell’uomo e il rispetto dei suoi diritti elementari. La grande abilità di sollecitare i desideri delle persone e di crearne dei nuovi, la collusione con numerose élite della società (politica, scienza, Università, medicina, giornalismo), la sistematica disinformazione con occultamento della realtà, il negazionismo delle conseguenze nefaste del loro operato, l’esperta difesa legale dei loro interessi e l’abile azione di lobbying tesa ad evitare che i governi possano emanare provvedimenti per loro pericolosi, il continuo giustificare il loro operato come contributo a generare posti di lavoro e benessere per i lavoratori hanno reso questi Gruppi di interesse davvero potenti e difficilmente attaccabili.
    La strategia mutuata dai produttori di sigarette, adottata nella produzione di combustibili fossili, negli allevamenti intensivi e nelle coltivazioni industriali ad uso umano ed animale, si è più recentemente estesa ad altri settori, come quello alimentare o degli alcolici. Non è certo sfuggita a nessuno l’insistenza dei media sulla “cultura culinaria”, la promozione insensata di un consumo esagerato di cibo in una popolazione nella quale l’obesità è in crescita con i conseguenti danni alla salute e all’economia. Né è certo sfuggita ad alcuno la nuova moda di sedere al bar per consumare aperitivi alcolici in una popolazione dove l’alcolismo e i suoi rischi sono in aumento; a poco servono i richiami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla tossicità dell’alcol specie nei giovani e sulla sua dimostrata capacità di contribuire a causare tumori.
    Ma anche il turismo di massa si è avviato da tempo sulla stessa strada, inserendosi a pieno titolo nella follia di un consumismo e di una globalizzazione che assorbono energie e generano grandi quantità di scorie, perché tenendo bassi i prezzi e sempre incalzando con le novità della produzione si inducono le persone a gettare i prodotti piuttosto che a ripararli e a godere smodatamente di servizi di cui non hanno necessità alcuna e da cui non traggono alcun vantaggio.

Alla luce di tutto ciò io credo che se non vengono posti limiti etici al profitto, e primariamente il rispetto assoluto del valore supremo della vita, della salute e del benessere di tutti gli esseri umani, il futuro dell’umanità non potrà che essere fosco.
Ma tutto ciò va illustrato alle popolazioni con un linguaggio comprensibile, utilizzando mezzi che raggiungano e sollecitino la loro attenzione. Iniziative come quella intrapresa recentemente da un Gruppo privato per sottolineare i danni della disinformazione sono lodevoli e andrebbero potenziate, ma nel contempo bisognerebbe che non vedessimo evidenti compiacenze dei governi verso la produzione di tabacco e il consumo di alcolici.
Se si cominciasse a rispettare veramente quella “Health in all policy” che anche l’Italia ha accettato (cioè valutare l’impatto di ogni provvedimento governativo sulla salute e bloccare quelli che la possono compromettere) faremmo già un grande passo avanti. Una Convenzione Quadro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità su questo tema, come fu quella di contrasto al tabacco del 2004 con il coinvolgimento di ben 192 Paesi e dell’Unione Europea, potrebbe essere un primo concreto avvio al cambiamento.
E’ indubbio che se ognuno di noi non capisce fino in fondo cosa c’è all’origine di questo calamitoso cambiamento climatico e non si impegna in prima persona a contrastare il profitto amorale di alcuni a danno di tutti gli altri, non avremo via di scampo.
Per salvare il pianeta l’Organizzazione Mondiale della Sanità invita ognuno di noi ad affrontare tre sfide globali:
1) lavorare subito per un mondo in cui aria, acqua e cibi salutari siano a disposizione di tutti
2) sospingere con fermezza le economie e i governi alla salvaguardia della salute e del benessere dei popoli
3) rendere le città vivibili e indurre ogni persona a prendersi cura della salute propria e dell’ambiente.
E’ quindi necessario che l’iniziativa non venga lasciata solo alle Istituzioni pubbliche, ma coinvolga soprattutto quelle private e i singoli cittadini che devono innanzitutto essere pronti a rinunciare a prodotti e servizi non indispensabili, a rifuggire da tutti quei falsi bisogni indotti dalla martellante pubblicità, manifesta e occulta, dei Gruppi di interesse, schierandosi apertamente a favore di una vera politica a favore dell’uomo e dell’ambiente, ma anche dando un fattivo contributo a questa politica di risorgimento morale e materiale.

Assoverde per il libro di Focus 2022