Lettera inviata al Direttore del Corriere della Sera
Illustre Direttore,
le dichiarazioni del Prof. Giuseppe Remuzzi pubblicate più volte sul suo giornale mi stimolano ad intervenire sull’argomento pubblico e privato in sanità. Il tema non è nuovo e da decenni vede due schieramenti che si contrappongono con validi argomenti talora animati da posizioni ideologiche. Il tema riguarda soprattutto i grandi ospedali metropolitani. Le premetto che io ho lavorato tutta la vita in un ospedale pubblico in regime di esclusività. La mia scelta era dettata anche da un momento storico particolare che vedeva il grande ospedale pubblico al vertice per qualità, innovazione e grandi figure professionali: ospitava grandi scuole di medicina ed essere parte di queste scuole ci inorgogliva e ci compensava dei nostri magri stipendi. Ma le cose negli anni sono cambiate e la sanità non è più stata al vertice dell’attenzione politica. Nel contempo gruppi privati hanno invece capito che la salute è un tema molto vicino al cuore dei cittadini e che il mercato della salute sarebbe cresciuto significativamente anche perché garantito dall’accreditamento (ossia finanziamento) regionale.
Nei primi anni 70 nacque a Milano l’Ospedale San Raffaele e dopo qualche difficoltà questo complesso ospedaliero-universitario privato iniziò la sua crescita sostenuta da una notevole capacità imprenditoriale che aveva compreso come il successo fosse legato alla qualità del personale, alla capacità di innovare, all’attenzione verso i malati. Da allora e da tutta Italia i pazienti hanno chiesto di farsi curare al San Raffaele, al Monzino, alI’IEO, all’Humanitas, eccetera, cioè in grandi complessi privati che sono sorti e hanno contribuito a rendere la sanità lombarda una delle migliori d’Italia. E proprio questa prepotente richiesta dei malati ha contribuito a far sì che la Regione Lombardia accettasse di accreditare questi privati.
Di converso il grande ospedale pubblico e l’Università pubblica hanno continuato a perdere colpi: avviluppati da una ragnatela di asfissianti e penalizzanti vincoli burocratici, terreno di occupazione politica, privi della capacità di motivare e trattenere il personale e spesso privi di validi dirigenti e poveri di risorse economiche, non potevano che regredire malgrado molti di essi fossero dotati di eccellente personale che credeva nel servizio sanitario pubblico. Alcune regioni hanno sbarrato il passo al privato ma questo sistema illiberale francamente non credo sia stata una buona scelta. Fin dal 1985-86 un piccolo gruppo di clinici milanesi (costituito dai professori Veronesi, Zanussi, Boeri, Pozza, Cornelio e dal sottoscritto) richiamò più volte l’attenzione della nazione sul rischio di affondare i grandi ospedali pubblici perché penalizzati da regole che non consentivano loro di competere ad armi pari con i privati, ma il nostro Manifesto Bianco non riuscì a scuotere l’inerzia delle istituzioni e dei decisori politici.
Adesso il privato è molto cresciuto e la crescita continua creando uno stato di fatto irreversibile di cui dobbiamo prendere atto; ciò accade perché questi grandi ospedali privati continuano a godere del favore dei malati mentre il pubblico incapace di cambiare e correggere i suoi difetti continua a regredire.
Che fare allora? Io credo che la presenza di un ospedale pubblico forte capace di accogliere le istanze della società (malati e personale sanitario) è indispensabile per colmare e rendere più equo e bilanciato il servizio sanitario. Tutti sappiamo che il privato ha dei difetti (e in particolare la fisiologica propensione al guadagno senza troppi scrupoli) ma l’inefficienza del pubblico non è difetto meno preoccupante e le preferenze della popolazione ne sono una prova. Secondo me il rapporto fra erogatori pubblici e privati in sanità va affrontato non mortificando il privato ma migliorando significativamente la componente pubblica nella sua qualità, nella sua efficienza e capacità di accoglienza dei cittadini utenti. La popolazione italiana è sempre più attenta alla sua salute e si rivolge alle strutture che più offrono qualità tecnica e rispetto delle persone che a loro volta sono legate strettamente alla motivazione del personale sanitario. Tocca inoltre a chi governa ripensare alle regole dei sistema così da offrire a tutti i suoi componenti regole eque e pari opportunità, verificando il rispetto di queste regole con controlli serrati e sanzioni severe. Proviamo a risolvere pragmaticamente i nostri problemi e i nostri squilibri anche stipulando con gli erogatori dei servizi sanitari un vero e proprio patto di responsabilità che si basi sull’impegno alla “accountable care” che li vincoli al rispetto delle regole e al miglioramento della qualità e alla riduzione dei costi sul modello di quanto si sta facendo in altri Paesi. Tutte le strutture e le persone valide possono essere utili per la sanità e l’assistenza, per la ricerca per l’educazione e l’Università anche perché molti sono ancora i bisogni sanitari non soddisfatti e prima di tutto le cure sanitarie extraospedaliere, la presa in carico della cronicità ma anche la promozione della salute, la prevenzione e la salute pubblica . Saggezza è quella di far lavorare insieme, senza gravi contrapposizioni, tutti gli attori finalizzando tutte le forze all’interesse degli assistiti prima che a quello degli operatori.