La flessibilità del lavoro

Non si sa se la FIAT stabilirà la sua sede in America. Se così fosse, il segnale per l’Italia sarebbe chiaro: nel nostro Paese non c’è futuro per una grande impresa. Si può immaginare facilmente che pian piano la produzione FIAT si sposterà altrove, ossia nei Paesi ove le condizioni sono più favorevoli al capitale. Questa è peraltro la regola da sempre. Soros già 20 anni or sono ci ricordava che il capitale emigra in luoghi ove vi sono più tranquillità e più possibilità di remunerazione. Possiamo criticare Marchionne? Non credo. E’ vero che la FIAT ha ottenuto molto dai Governi italiani nel tempo, ma è altrettanto vero che oggi le condizioni per operare in Italia sono divenute assai difficili. Le antiche storture che affliggono la regolamentazione del lavoro sono peggiorate. Tutti sanno che se non si aumenta la flessibilità in entrata ed in uscita del personale il mercato del lavoro non può funzionare. Non solo meritocrazia e flessibilità non sono entrate nel vocabolario del Governo, dei Sindacati e della Magistratura, ma continuano e/o peggiorano regole incompatibili con la vita dell’impresa: costo del lavoro e tasse sull’impresa in aumento, energia tra le più care al mondo, Pubblica Amministrazione immodificabile e incombente, produttività insufficiente. Negli ultimi anni, per di più, abbiamo parlato con insistenza di precariato, ma invece di trasformare i precari in lavoratori a termine con contratto equo, abbiamo deciso che la soluzione è l’assunzione a tempo indeterminato, che da noi vuol dire un contratto di fatto inscindibile, a meno che l’impresa non vada a chiudere. I nostri Sindacati, in questo marasma, dettano legge; ma siccome sono fermi a posizioni ideologiche del passato, oggi non più tenibili, pensano sbagliando di difendere il lavoro irrigidendo il sistema. Così l’Alitalia non tiene, ma non si può ridurre il personale; meglio assistere un’impresa che da anni consuma risorse ed è sempre in stato agonico. Alla FIAT addirittura Sindacati e Magistratura obbligano l’Azienda a riassumere operai licenziati per sabotaggio. Non si può nemmeno parlare di art. 18. Nella Pubblica Amministrazione peraltro le cose vanno anche peggio. Il posto di lavoro è assicurato, qualunque sia la capacità o il comportamento dell’impiegato. Il merito è sostantivo sconosciuto. Il costo di questo apparato è insopportabile, ma lo Stato continua ad assumere personale per assicurarsi la pace sociale. Non finisce poi di sorprendermi l’atteggiamento degli Italiani che hanno la fortuna di avere un posto di lavoro. Molti di loro non solo non si curano degli interessi dell’Azienda e del datore di lavoro, ma si comportano come se tutto fosse destinato a durare per sempre, anche se la sofferenza dell’impresa cresce. Non si chiedono i nostri dipendenti pubblici cosa succederà di loro e delle loro piccole furbizie quando i soldi pubblici saranno finiti? Se le entrate pubbliche diminuiscono ancora non pensano che gli stipendi verranno ridotti o che di colpo tutti i privilegi spariranno? Calano le entrate pubbliche, cresce la cassa integrazione, rimane inalterata la spesa pubblica improduttiva. Non si preoccupano dipendenti pubblici e pensionati? Il quadro di irresponsabilità, inerzia e menefreghismo degli Italiani è desolante. E’ allora difficile criticare Marchionne e far finta di non vedere che a queste condizioni l’Italia non ha futuro. Siamo fermi nel passato, con una classe dirigente incapace e attenta solo ai propri interessi. Dobbiamo esigere un cambiamento sia pur graduale. A mio avviso dovremmo proprio cominciare aumentando la flessibilità del lavoro in entrata e in uscita sia nel privato che nel pubblico. Speriamo che ciò accada nel 2014.

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