Italia terra di emigrazione (?)

Ho di recente constatato di persona che molti Italiani stanno emigrando, in quanto il Paese non offre più una soddisfacente qualità di vita. Sembra di essere tornati indietro di oltre un secolo, con la differenza che nei primi del 900 emigravano i più poveri, oggi quelli più ricchi. Infatti se ne vanno persone anziane (ricche di capitali) e giovani (ricchi di idee e di coraggio). Una mia amica è diventata cittadina svizzera e abita a Lugano. Un’altra giovane signora ha aperto un’attività imprenditoriale a Dubai. Perché hanno fatto questa scelta? Perché il denominatore comune di questi Paesi è che vi sono delle regole semplici (non incomprensibili labirinti burocratici) e queste regole vengono fatte rispettare con le buone o con le cattive. Se osservi le regole vivi tranquillo, senza timore di essere assalito in casa o per strada. Se infrangi le regole ti aspettano punizioni certe e severe. Sono Paesi dove vi è equità e rispetto dei cittadini, servizi efficienti, onestà da parte dello Stato prima che dei singoli abitanti, leggi chiare, tribunali che funzionano, pene certe, tasse accettabili, sostegno a chi vuol lavorare, polizia attenta ed efficiente. In una parola tutto l’opposto di questa nostra povera Italia. Povera non solo perché c’è la crisi, ma soprattutto perché non dispone di una classe dirigente degna di rispetto. Da decenni vediamo le stesse facce nei centri di potere: vecchi che galleggiano sempre, che bloccano ogni rinnovamento, che si spartiscono cifre da capogiro, che sono intoccabili anche quando sono manifestamente incapaci o disonesti. Spesso gente che non ha nessuna esperienza lavorativa seria alle spalle e che non ha competenze specifiche. Il capolavoro sono i politici di lungo corso, i professionisti della politica: sembrava che tutti dovessero andarsene per lasciare spazio a gente nuova. Sono invece tutti lì (Rosy Bindi inizia il suo 7° mandato parlamentare!), nei posti di comando, perché i nuovi sono stati relegati tra i peones, che sono lì solo per votare ciò che i capi decidono. L’eccezione è Grillo ed il suo Movimento, di cui non so cosa pensare; una compagine eterogenea, che secondo alcuni rischia di sfaldarsi al primo stormir di fronde.
Alcune sue idee sono buone, ma altre risentono di un mai morto estremismo e giustizialismo. Gente probabilmente per bene, che non sappiamo come si comporterà. Speriamo (per loro) che non finiscano a confluire a sinistra*.
La destra peraltro è in condizioni agoniche. Le persone al comando sono sempre le stesse, e si tratta di una dirigenza debole, aspecifica, mortificata dalle disavventure del capo, che ha perso credibilità e rischia di naufragare tra gli scogli della giustizia. Questa schiera di dirigenti sta portando l’Italia alla malora: le Agenzie di Rating ci hanno già degradato perché siamo inaffidabili, perché il Paese è ingovernabile, i Governi incapaci, l’economia reale in caduta libera, i giovani senza futuro e sistematicamente esclusi dal potere saldamente tenuto dai vecchi, l’ingiustizia sociale sempre più grave, le leggi caotiche e male applicate, la qualità dei servizi scarsa, la tranquillità, sicurezza e qualità della vita solo un miraggio. Tutti temono il futuro e il pessimismo è diffuso.
L’attuale Presidente del Consiglio aveva annunciato l’anno scorso che l’economia era sì in difficoltà, ma si cominciava ad intravvedere una luce in fondo al tunnel: oggi molti ritengono che quella luce altro non fosse che i fari di un treno che ci stava venendo contro. Troppo pessimismo? Disfattismo? E’ possibile, almeno in parte. Noi che restiamo in Italia (e in Europa, che non va tanto meglio) forse invidiamo chi ha deciso di emigrare per trovare una vita migliore in nazioni che non fanno parte dell’Unione Europea. Chi resta però non può solo guardare e lamentarsi. Bisogna essere pronti ad agire, a lavorare e lottare per evitare che la scelta di rimanere sulla nave si trasformi in suicidio, anziché in ripresa della navigazione dopo la tempesta.

* Nota. Il Movimento a 5 Stelle di Beppe Grillo rappresenta un elemento di novità assai interessante. Esso infatti non solo ha dimostrato che si può condurre una campagna elettorale a costi assai contenuti (cioè senza spendere le centinaia di milioni che siamo usi vedere), ma soprattutto ha dato una speranza, sia pur ancora incerta, di come sia possibile attuare un sistema di democrazia partecipativa, ossia abbandonare l’attuale democrazia rappresentativa (che alla fine consente ai rappresentanti eletti di non curarsi affatto dei loro elettori e relativi valori) in favore di veri e propri referendum popolari su singoli temi di interesse generale: il web oggi può farci sperare che a ciò si giunga un giorno non lontano, superando in tal modo perfino il modello svizzero che oggi con i frequenti referendum è forse l’unico ad avvicinarsi al modello di democrazia partecipativa.

Girolamo Sirchia

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