Nel 1950 gli Italiani erano poco più di 45 milioni con un’aspettativa di vita alla nascita (cioè il numero di anni che una persona alla nascita si stima possa vivere mediamente) di circa 65 anni, e le persone con età di 80 e più anni costituivano un’eccezione (Dati ISTAT).
Attualmente in Italia siamo circa 60 milioni di abitanti e la nostra aspettativa di vita alla nascita è di circa 80 anni. Oggi il 22,6% degli Italiani ha 65 o più anni di età, ma l’organizzazione della nostra società è rimasta quella del secolo scorso, ossia quella di una società che non ha posto per gli anziani, i quali dopo la pensione (ossia a 65 anni) escono di scena in quanto divenuti “foglie morte”. Ma questa impostazione si è dimostrata errata per almeno due motivi:
1) l’esclusione dalla vita attiva accelera il decadimento fisico e mentale e genera grandi costi socio-sanitari ed umani;
2) se l’anziano continua a mantenersi attivo e rimane al lavoro (magari con mansioni meno gravose) genera ricchezza di cui tutta la società si avvantaggia.
Ecco perché bisogna cambiare paradigma e creare per gli anziani le condizioni perché si mantengano attivi, sani e produttivi.
Per quanto concerne la protezione della salute, bisogna innanzi tutto ricordare che le persone anziane soffrono principalmente di patologie croniche, che sono per lo più molteplici e spesso causate o aggravate da abitudini di vita non salutari (alimentazione inappropriata con eccessivo peso corporeo, fumo, scarsa attività muscolare). Ciò non significa che gli anziani non possano incorrere in episodi di patologia acuta, ma questa evenienza non è quella preminente e non è quindi la principale causa dei loro frequenti ricorsi alle strutture sanitarie. Per lo stesso motivo si evince che l’Ospedale per acuti non è la struttura cui gli anziani si debbano rivolgere nella gran parte dei casi. Per loro è più frequente l’indicazione a rivolgersi al medico di base e alle strutture di medicina primaria del territorio (specie Case della Salute, Ospedali di prossimità a bassa intensità di cura, Residenze Sanitarie Assistenziali, Residenze protette, Ambulatori, Centri di riabilitazione, vigilanza e cure domiciliari). Per gli anziani quindi più che per altri è necessaria una sanità territoriale ben organizzata, accessibile con facilità e vicina a casa, meglio se corredata di strumentazioni diagnostiche e telemedicina.
Nei casi in cui è necessario il ricovero nell’Ospedale per acuti, peraltro, questo va attrezzato per gli anziani in modo diverso dall’attuale. L’anziano ha necessità innanzi tutto di un’assistenza geriatrica, che tenga conto della sua fragilità fisica e psichica, cui compete la gestione olistica del malato con l’intervento di altri specialisti che si rendano necessari. Anche il personale infermieristico va formato per l’assistenza geriatrica, e quindi specializzato. Oggi nei nostri Ospedali tutto questo manca e il trattamento degli anziani è spesso inadeguato. Più in generale, le infezioni ospedaliere sono un problema che va affrontato con la massima priorità; esso riconosce spesso come causa un uso inappropriato di antibiotici e una insufficiente pulizia. Bisogna, a mio avviso, cessare da subito il ricorso a cooperative di infermieri e altro personale esterno di assistenza o di servizio, che vengono ingaggiati per evitare di assumere personale in una logica di riduzione della spesa e delle difficoltà sindacali; logica che ha visto il progressivo decadimento dei servizi ospedalieri. La prevalenza degli interessi economici ed organizzativi su quelli sanitari è purtroppo alla base di molte difficoltà degli Ospedali e di tutta la sanità italiana.
Negli anziani, e più in generale per tutta la popolazione, è necessario prevenire le complicanze legate all’invecchiamento con interventi sistematici di promozione della salute e di diagnosi precoce. La promozione della salute implica il coinvolgimento culturale di tutta la società a cominciare dalla scuola e significa “sospingere” i cittadini ad adottare stili di vita salutari, abbandonando quelli che contribuiscono a determinare o aggravare le patologie più significative, cominciando dal fumo di tabacco, alcol, eccesso alimentare, sedentarietà. Si tratta di un’operazione di Nudging (o spinta gentile) che va affrontata con una strategia di lungo periodo e di paziente azione moderata, continua e progressiva, con l’aiuto di tutta la società e anche con un impegno non indifferente, ma questo è l’unico modo per evitare che le persone, gli animali e l’ambiente degradino al punto di rendere inospitale e nemico il pianeta. Anche la diagnosi precoce va potenziata in quanto è noto che più precoce è la diagnosi, tanto più efficace ed economica risulta la cura. Questo è stato ampiamente dimostrato per alcuni tumori, ma anche per altri tipi di patologie, quali tipicamente il diabete di tipo 2. Oggi questo dismetabolismo interessa oltre il 5% degli italiani, inizia in modo clinicamente inapparente, ma lasciato a sé si aggrava e si complica in modo temibile, interessando organi e apparati vitali come il cardiovascolare e il rene. L’esperienza del metodo “Screen and Treat” (iniziata con il Finrisk da oltre un decennio), nel quale somministrando un semplice questionario si ha una buona probabilità di individuare i soggetti più a rischio di essere affetti dal dismetabolismo, e l’evidenza che un precoce programma di corretta alimentazione e attività motoria è in grado di correggere tale dismetabolismo ripristinando in circa metà dei casi lo stato di normalità, sono molto convincenti e dovrebbero indurre la sanità a considerare seriamente non solo la cura delle malattie conclamate, ma anche la loro prevenzione in tutte le sue forme, specie quelle qui illustrate, caratterizzate da un costo molto basso.
Anche la spesa sanitaria se ne gioverebbe giacchè è noto che la prevenzione è l’ambito che ha il più alto ritorno sull’investimento in sanità. Questo cambio di paradigma, che trasforma in parte la medicina da “risposta alla malattia conclamata” a “prevenzione della malattia o riduzione della sua progressione” esige una forte leadership nazionale e chiare idee strategiche da parte dei decisori politici, ma anche un investimento per far crescere la conoscenza e la consapevolezza della popolazione. Senza la convinta partecipazione dei cittadini, infatti, nessuna riforma sanitaria va a buon fine, come abbiamo potuto vedere in anni di riforme sanitarie di scarso successo. Si tratta di modificazioni delicate, che richiedono tempi lunghi e interventi studiati, sperimentati e ben realizzati.
Questo percorso di innovazione esige da subito il potenziamento delle cure territoriali oltre a quelle ospedaliere. Innanzi tutto dei medici di base, che devono avere più tempo per l’incontro con i pazienti e meno adempimenti burocratici. Ciò significa corredare il loro studio con personale ausiliario preparato e ridurre il numero massimo di pazienti seguiti da ognuno di essi a parità di salario. Il medico di base ha inoltre bisogno di nuove possibilità di diagnosi e cura facilmente accessibili per migliorare i propri successi professionali, ma anche di una forte motivazione che può derivare da una preparazione e un aggiornamento migliori. Un tempo molti medici di base frequentavano regolarmente e volontariamente per qualche ora al giorno le divisioni di Medicina e Chirurgia degli Ospedali: ciò consentiva loro di praticare la clinica al letto del malato e aggiornare le loro conoscenze mediche. Bisogna ripristinare questa pratica, che oltre tutto consente al medico di base di acquisire oltre al valore professionale anche un punteggio di carriera e all’Ospedale di usufruire di forze nuove per la gestione dei malati, ma anche di integrare Ospedale e territorio così da offrire continuità di cura al malato. Con l’avvento delle Case della Salute e degli Ospedali territoriali, di recente avviato, il medico di base avrà a disposizione anche ambiti professionali alternativi, più prossimi e utili per seguire i propri pazienti quando ricoverati.
Infine è necessario costruire una carriera per il medico territoriale, consentendogli una posizione primariale (o dirigenziale di struttura complessa) presso le Case della Salute che costituiscono una vera urgenza italiana o altre strutture territoriali, come POT, RSA, Istituti di riabilitazione. In queste posizioni servono medici di base capaci e motivati, meglio se dipendenti dal Servizio Sanitario, esperti anche nella gestione di strutture complesse e di personale sanitario, socio-assistenziale, ausiliario, amministrativo. E’ sperabile che il Ministero della Salute emani al più presto gli standard operativi di queste strutture e dia inizio alla loro sperimentazione, misure che sono attese da anni. Il Covid-19 ha scoperchiato una situazione di grave carenza del Servizio Sanitario offerto agli anziani. Siccome è vero che “Quae nocent docent” dobbiamo far tesoro della lezione che abbiamo subito per far nascere un Servizio Sanitario Nazionale più moderno ed efficace per tutti, ma anche meno discriminante e più amichevole ed umano per i nostri anziani.
LA CURA DEGLI ANZIANI
Proposta operativa
Il rispetto degli anziani e il contrasto pratico all’ageism (discriminazione degli anziani) passa attraverso i seguenti punti:
1) una pensione sufficiente;
2) un’abitazione decente, personale di cura della casa e della persona, vigilanza costante (Custode Socio-Sanitario) (1) in raccordo con medici e RSA;
3) un’RSA sul modello Green House (JAMA 326, 1568-70, 2021, Abbasi J, intervista a Terry Fulmer, Presidente della John A. Hartford Foundation New York City, per il miglioramento della cura degli anziani). Piccole comunità di 12 persone omogenee (per patologia, cultura, ecc.), gestite da infermieri specializzati con aiuto di ausiliari e dei famigliari che sono fondamentali per aiutare ad assistere il loro caro, divenendo parte del team di cura;
4) cambiare luogo di residenza è pericoloso per gli anziani. Bisogna sperimentare la nursing home a domicilio, come abbiamo fatto per l’Ospedale a domicilio, fornendo servizi di cura della casa e della persona per aiutare i famigliari se ci sono. Ci sono già modelli sperimentali come CAPABLE della John Hopkins School of Nursing
5) la RSA deve essere parte del Servizio Sanitario Nazionale, finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale oltre che da risorse del soggetto ricoverato se esistenti. E’ dotata di personale sanitario e ausiliario dipendente, con impegno a tempo (rotazione ogni 3 anni), che deve essere preparato e valutato da esame triennale, vigilato da ispettori e telecamere. La rotazione va fatta tra domicilio-RSA-POT. Sarebbe bene che le RSA fossero parte degli Ospedali (POT), come era un tempo (Reparto Cronici). La RSA prepara ed esamina anche le badanti per assistenza domiciliare. Deve inoltre disporre anche di sistematica presenza part time del Medico di Medicina Generale (giro di visite 2 volte la settimana e al bisogno);
6) luoghi ove soggiornare e intrattenersi per combattere solitudine, sedentarietà, depressione (con intrattenitori) (Centri ricreativi, Parchi della Salute);
7) gli anziani che possono lavorare devono essere sollecitati a farlo (artigiani, medici, insegnanti, ecc.) ed eventualmente devono essere retribuiti con piccole cifre. Il lavoro mantiene sani corpo e mente. Devono anche partecipare ad attività culturali e sociali.
(1) I Custodi Socio-Sanitari sono visitatori dipendenti da Istituzioni di volontariato privato sociale, preparati per controllare che le condizioni di vita degli anziani che vivono soli e in condizioni disagiate siano soddisfacenti. Essi lavorano in collaborazione con i medici territoriali e con gli assistenti sociali del Comune per seguire e migliorare le condizioni di salute e di benessere dei loro assistiti (cfr. anche Sirchia G e Parravicini A. L’iniziativa del custode sociale per favorire la permanenza degli anziani al loro domicilio. In Sirchia G.: “Spunti per una sanità migliore”, Appendice C, pp. 177-183. Piccin Editore, Padova, 2011.