Tra le tante novità che il 21° secolo ha portato con sé vi è la globalizzazione: il mondo non ha più confini, non vi sono limiti al libero scambio delle merci e delle persone, i commerci non hanno barriere, le nazioni sono destinate a scomparire, venendo assorbite da organizzazioni di tipo diverso e più ampio. L’entusiasmo della prima ora si sta tuttavia ridimensionando man mano che emergono alcuni inconvenienti e si valutano meglio le conseguenze del villaggio globale, quali ad esempio le seguenti:
1) l’unico valore comune a popoli di origine, tradizione, cultura e religione differenti è il denaro, mentre i valori umani e spirituali si affievoliscono sempre più:
2) la produzione manifatturiera e le imprese di Paesi come l’Italia sono stati confinati in ambiti residuali, come ad esempio il turismo di massa, giacchè le nostre imprese manifatturiere non sono più competitive e stanno cedendo terreno anche per la mancanza di piani industriali avveduti da parte dei Governi. Ha preso piede infatti la produzione a basso costo, con prodotti di bassa qualità. Impera il consumo di prodotti a vita breve, utili a far lavorare l’industria e il commercio, ma dannosi per l’ambiente a causa delle grandi quantità di rifiuti da smaltire, dell’inquinamento e dell’aumentato consumo di risorse naturali limitate;
3) scompare in tal modo la nostra tipicità, le nostre tradizioni, la nostra storia, i nostri stessi patrimoni paesaggistici e artistici e con essi cambiano i nostri rapporti sociali, mentre la nostra etnia si mescola ad altre;
4) abbiamo perso anche molte imprese strategiche ed è bastata l’epidemia di COVID19 per dimostrarlo, quando l’Italia non è stata in grado di produrre ventilatori polmonari e normali mascherine.
La Cina mi appare oggi come un gigantesco pitone che ci sta ingoiando e che ha già attaccato anche l’Africa e persino gli Stati Uniti. Il mondo occidentale chiuso nei suoi egoismi, vecchio e senza visione del futuro dipende oggi in modo pericoloso dalla Cina, dai suoi capitali e dalla sua macchina produttiva. La Cina è una potenza che continua a crescere, e che le deriva da alcune precise scelte politiche, quali:
a) un regime di dittatura ferrea nella quale l’uomo, i suoi valori e i suoi diritti sono poco o nulla considerati;
b) una capacità produttiva enorme a basso costo proprio per quanto riportato al punto a).
L’Occidente non ha capito che, facendo produrre alla Cina gran parte dei prodotti per convenienza economica, dava alla Cina quasi l’esclusiva produttiva e quindi il potere di governare il mondo. Gli stessi Stati Uniti non sono stati in grado di produrre rapidamente i ventilatori polmonari nell’epidemia di COVID19 perché i componenti erano prodotti in Cina e questa tardava le consegne: pensate quale potere ha oggi la Cina e quale possibilità di ricatto. Ma quale può essere la soluzione per sfuggire a questo pericolo e non farsi ingoiare da questo vorace pitone? Io credo innanzi tutto che si debba far capire alla gente che poco e buono è più conveniente di tanto e cattivo. Se il Supermercato importa l’aglio dalla Cina e lo mette in vendita a poco prezzo, l’Italiano deve capire che il prezzo è basso perché la qualità è bassa e se l’aglio è sbiancato con la candeggina diventa anche pericoloso. Abbiamo visto tutti quanto sia scadente l’igiene in quel Paese e quanto lasse siano le regole per la sicurezza alimentare.
Il nostro Governo dovrebbe poi proteggere l’impresa italiana facendo e attuando un piano industriale moderno che comprenda anche le azioni di contrasto agli attacchi interni ed esterni. Se il Governo esita, i Sindacati per primi dovrebbero stimolarlo a procedere su questa via, giacchè la ricchezza nazionale e i posti di lavoro provengono dalla prosperità dell’impresa privata. Non è contrastando l’impresa privata che si fa il bene della Nazione e dei lavoratori.
Se ciò venisse capito, l’Italia potrebbe anche farsi promotrice di una più avveduta politica estera europea e di investimenti europei per la tutela delle imprese private. Per quanto concerne l’impresa pubblica o partecipata, il Governo italiano dovrebbe abbandonare da subito meccanismi penalizzanti, quali le gare al massimo ribasso o i mille bizantinismi amministrativi che ostacolano una gestione agile e responsabile. Da anni ci diciamo che il codice degli appalti è sbagliato, ma in un Paese che sembra impegnato solo nella rissa per il potere, nulla cambia in senso positivo. E’ forse anche necessario considerare se i dazi e i contingentamenti non possano essere utili almeno in alcune aree strategiche e se non si debba scoraggiare con alcune adeguate imposizioni fiscali la dislocazione delle imprese italiane all’estero: l’Italia non vuole essere un punto-vendita di imprese straniere o collocate all’estero, ma deve restare un Paese manifatturiero con prodotti di alta qualità esportati in tutto il mondo. A questi rimedi puramente economici io credo che si debbano anche affiancare alcuni cambiamenti nelle priorità di Governo. Il COVID19 ci deve insegnare che è sbagliato anteporre la finanza alla salute pubblica e al benessere dei cittadini perché basta un COVID qualunque a distruggere un castello di modelli economici invisi alla gente; è sbagliato non investire nella scuola e nell’Università; è sbagliato non investire nella ricerca scientifica. Tutti questi sono i motori di sviluppo sociale ed economico che non possono essere relegati tra gli obiettivi minori. Ed è necessario anche rivedere l’efficacia di questi ambiti, così da correggere i meccanismi abituali che comportano spesso sprechi, inefficienza e abusi intollerabili. Serve che i migliori cervelli italiani vengano chiamati a dare il loro contributo alla revisione dei sistemi che non possono essere più lasciati solo nelle mani di una politica che non è stata in grado di impedire il regresso del Paese sia sul piano materiale che morale. Forse la recente epidemia di COVID19 ci indurrà a riflettere e a metterci giudizio: se così sarà, si confermerà il vecchio adagio che non tutti i mali vengono per nuocere.