La preparazione (preparedness)

Fin dalle scuole elementari impariamo che ciclicamente l’umanità viene flagellata da epidemie, più spesso causate da agenti patogeni (batteri e virus) che albergano solitamente negli animali, ma che, per motivi solo in parte conosciuti e comunque legati a cattive condizioni di igiene pubblica, si trasmettono all’uomo e si diffondono nel mondo grazie alla capacità di trasmettersi da uomo a uomo.
Le grandi epidemie del passato (peste, colera) causate da batteri o da alcuni virus oggi non fanno più paura, grazie alla disponibilità di potenti antibiotici o di vaccini, ma il pericolo nel nostro tempo non è scomparso giacchè nuovi agenti patogeni altamente diffusivi si sono presentati sulla scena. Si tratta primariamente di virus influenzali e di Coronavirus avverso i quali non siamo pronti a reagire con mezzi naturali o con farmaci e vaccini. Il più noto esempio di pandemia è forse quello dell’influenza cosiddetta spagnola del 1918 che uccise milioni di essere umani nel mondo, ma molte altre ne seguirono (l’Asiatica, la SARS, la MERS, l’Aviaria) fino alla presente pandemia da Coronavirus SARS-COV-2 che sta affliggendo i nostri giorni. Sembra quasi che ogni 100 anni circa una di queste pandemie si presenti sulla scena con eccezionale gravità e mieta moltissime vite. Se questa è la lunga storia delle sofferenze umane causate da zoonosi, la domanda che nasce è: “Possiamo fare qualcosa per difenderci e, se così è, che cosa?”. La risposta è positiva: possiamo difenderci da nuove epidemie per le quali non disponiamo di vaccini o farmaci efficaci se ci prepariamo sistematicamente a questi luttuosi eventi prima che questi si producano. Essi non possono essere combattuti efficacemente in fase di emergenza se non si è pronti da prima e non si sa come comportarsi. Da qui il concetto di preparazione o preparedness predicato regolarmente dai massimi esperti mondiali e da rinomate organizzazioni internazionali. Cosa significa in pratica prepararsi? Significa realizzare e manutenere un sistema di vigilanza e pronto intervento perennemente attivo ed esercitato ad intervenire. Tale sistema può essere costituito da un Centro di Controllo e Prevenzione Malattie (o CDC Centrale) situato presso il Ministero della Salute a Roma e collegato ad analoghi CDC regionali che da esso dipendono e con esso collaborano. Vi devono operare esperti nelle discipline pertinenti strettamente collegati in rete con analoghe strutture esistenti nel mondo (i CDC – Centers for Disease Control sono nati e operano negli Stati Uniti e anche in Europa).
Ogni anno si sviluppano nel mondo decine di epidemie: il CDC deve conoscere tutto di queste epidemie per poter valutare i rischi che queste si propaghino fino al territorio di competenza onde predisporre le azioni di contrasto conseguenti che iniziano con un contingency plan adatto ad ogni realtà locale. La sequenza logica è pertanto la seguente: CDC nazionale o Centro di Controllo delle Malattie (Ministero della Salute + Regioni), organismo tecnico permanente per la vigilanza, valutazione dei rischi di diffusione, predisposizione dei piani di contrasto proporzionali al rischio, comunicazione alla popolazione e al personale sanitario delle modalità di comportamento. L’insieme di queste azioni prevede moltissimi interventi che in fase esecutiva devono dipendere direttamente dal Capo del Governo e dagli apparati che gli dipendono (Prefetture, Protezione Civile, Forze Armate, trasporti). La logistica è parte integrante di questo piano di emergenza: approvvigionamento di materiali mediante acquisti diretti o opzione di acquisto, commesse ad aziende nazionali fino alle precettazioni per beni o servizi strategici, definizione di questi servizi che devono essere mantenuti attivi, indipendentemente dalla convenienza economica. Importante è che le notizie e le disposizioni vengano emanate solo da un’Autorità incaricata e venga ridotto con decisione il rischio di disinformazione o polemiche anche con mezzi drastici che in particolari occasioni devono arrivare alla legge marziale.
Un altro aspetto importante è che i meccanismi principali di intervento vengano tenuti vivi continuamente prima dell’emergenza con simulazioni analoghe a quelle previste per gli incendi. Ad esempio si deve simulare il trasporto dei malati gravi presso i Centri di Malattie Infettive creati dal compianto Ministro Carlo Donat Cattin negli anni ’80 ai tempi dell’AIDS (con un investimento di L. 30.000 miliardi in conto capitale ex. art. 20 e lavori gestiti direttamente dal Ministero della Salute) o loro succursali, ma non in Reparti ospedalieri aperti dove si può ampliare il contagio. Si deve valutare come proteggere gli operatori sanitari dentro e fuori l’Ospedale, come e dove effettuare la quarantena, come attivare e potenziare i Centri di Riferimento e Ricerca (ricordo l’IRCCS Spallanzani di Roma e l’Ospedale Sacco di Milano creati ai tempi della SARS nel 2003), come garantire la sicurezza dei trasporti e delle frontiere, etc. Le simulazioni non devono prescindere poi da piani di educazione continua del personale sia sanitario che non, e del grande pubblico.
Questo sistema organizzato di preparedness con passaggi di risk assessment, risk management e risk communication, tenuto vivo da sistematiche simulazioni, consente di non trovarsi improvvisamente in piena emergenza e dover attivare in pochi giorni strumenti di contrasto non studiati, non sperimentati e non conosciuti dalla popolazione, evitando quindi la confusione e il panico che stiamo vedendo in questi giorni non solo in Italia, ma in tutti i Paesi anche avanzati. In una situazione in cui l’angoscia esistenziale è aumentata per l’incertezza e la difficoltà economica e sociale, abbiamo tutti bisogno di una sicurezza e non di nuovi pericoli (vedi Hans-Georg Gadamer “Dove si nasconde la salute”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994, pagg. 161-170). Per quanto riguarda l’Italia, stupisce il fatto che non sia stata sfruttata l’esperienza della SARS del 2003 e le azioni conseguenti, incluso il CDC o CCM istituito presso il Ministero della Salute (Direzione Generale della Prevenzione) che è infatti silente da tempo. Oggi i nostri medici e tutto il restante personale sanitario stanno pagando con la vita e con un lavoro estenuante gli errori di coloro che, nel nome di una linea economica di austerità, hanno lasciato deperire il Servizio Sanitario Nazionale, l’Università e la ricerca scientifica e che per imprevidenza ci hanno lasciati disarmati di fronte al COVID-19. Stupisce non meno l’inerzia del CDC europeo, di cui non si è sentita la voce, e l’atteggiamento troppo “prudente” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La speranza è che questa volta la pandemia da SARS-COV-2 si concluda con danni sopportabili sia sul versante sanitario che su quello economico e soprattutto che insegni a prepararsi per le prossime calamità in modo migliore.
Potremmo concludere qui il primo tempo della nostra partita con il COVID-19, ma già oggi dovremmo aprire il secondo tempo e cioè il piano di preparazione per il prossimo futuro. Non sappiamo quanto durerà e quanti danni farà l’epidemia attuale: il rischio è che essa possa durare tre anni come la spagnola o che magari si possa spegnere con l’estate come l’influenza ordinaria. Non sappiamo del pari come ne uscirà l’economia italiana. Serve immediatamente un Gruppo di Pensiero Strategico che disegni i piani di azione per questi due scenari e che consideri che cosa sia conveniente fare per le imprese manifatturiere italiane e per l’agroalimentare al fine di assicurare alla popolazione una sufficiente quantità e qualità di alimenti. Ricordiamoci che la globalizzazione ci ha resi non autosufficienti a favore di altri Paesi come Cina, Stati Uniti, Francia e Germania. In campo agroalimentare oggi dipendiamo grandemente da altri e potremmo avere guai molto seri in caso di difficoltà alle importazioni. Dobbiamo quindi potenziare al massimo la produzione italiana e proteggere le nostre imprese manifatturiere, evitando che dislochino, chiudano o passino in mani straniere. Il nostro Paese si è indebolito progressivamente sia per la sprovveduta politica governativa di questi ultimi 10-15 anni, sia per la globalizzazione mondiale, sia per la politica europea del rigore. Tutto questo va ripensato, vanno redatti piani di azione e dobbiamo cominciare ad attuarli senza indugio perché questa epidemia ci ha aperto gli occhi e tutti noi sappiamo che in futuro nulla sarà come prima e nuove nubi si addensano all’orizzonte.

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