L’evidenza che ci circonda mi sembra dimostri ampiamente che una società basata quasi esclusivamente sulla convenienza dei rapporti tra persone e tra Istituzioni si disgrega e esita in ingiustizie, madre delle peggiori reazioni dell’uomo. Un sistema siffatto, infatti, aumenta il differenziale socio-economico tra le persone e si oppone alla redistribuzione dei profitti, che si concentrano sempre più in poche mani privandone la maggioranza dei cittadini. Noi riteniamo che una società basata sui soli valori venali e regolata solo da interessi, priva di solidarietà e del dono è destinata a collassare e a scatenare violenza. Un solo esempio da citare è l’ingresso dei fondi finanziari in sanità. Il fondo ha come unico scopo dichiarato quello di fare profitti: non ha importanza se gestendo ospedali o supermercati, non ha importanza se il profitto danneggia clienti o dipendenti. Il fondo è impersonale, non è interessato alle conseguenze sociali del suo operato. Se un ramo di azienda non frutta lo si chiude anche se molte persone perdono il lavoro e le loro vite vengono distrutte.
Se il dono è un antidoto a questa realtà pericolosa, dobbiamo capirne profondamente il valore e farlo capire a quanti hanno fiducia in noi, soprattutto ai giovani.
Qual è la molla che ci spinge a donare? Noi crediamo per esperienza e dottrina che sia il senso di soddisfazione e di autostima che si produce dopo il dono a spingerci verso questo atto, anche se certo possono contribuire altre spinte di tipo etico o altro. Dopo aver donato ci sentiamo più soddisfatti di noi, ci sentiamo migliori. E ciò è tanto più vero in quanto il dono non sia di denaro o altri beni ma sia parte di noi, sia immateriale come può essere il dono di sangue.
Per quasi mezzo secolo ho organizzato e gestito un’associazione di donatori di sangue presso il Centro Trasfusionale del Policlinico di Milano e credo di aver imparato molto da questa esperienza. Ho capito innanzitutto che la donazione di sangue deve essere considerata un atto medico oltre che sociale, perché deve consentire un controllo delle condizioni di salute del donatore e rappresentare per lui un momento di incontro con un medico che possa suggerirgli alcune azioni utili alla sua salute e a prevenire possibili danni che si profilano all’orizzonte; controlli della salute che oltre tutto contribuiscono a fidelizzare molte persone al Centro Trasfusionale.
Ci siamo sempre mossi con questo obiettivo investendo sulla qualità del controllo medico dei nostri donatori e consigliando loro come fare attenzione al modo di vivere ed evitare stili non salutari. Questa strategia è utile al donatore, ma anche al paziente trasfuso, che può così contare su un rimedio massimamente sicuro ed efficace. Utile alla ricerca e all’innovazione, che nel Centro Trasfusionale deve aver luogo per produrre emocomponenti sempre migliori e innovativi, per meglio utilizzare il sangue donato, per distribuirlo in modo sempre più protetto e razionale. Utile infine alla salute pubblica perché l’incontro con il donatore può divenire un momento di prevenzione primaria assai efficace.
Possiamo infatti affiancare la medicina territoriale e i medici delle cure primarie nel valutare tramite semplici algoritmi in soggetti apparentemente sani quelli più a rischio di sviluppare patologie gravi come malattie cardiovascolari, diabete, malattie renali, neoplasie, osteoporosi e altre.
Su questi soggetti si possono allora concentrare i nostri sforzi e di altri specialisti per indirizzarli verso un percorso che consenta di ridurre tale rischio e di prevenire la comparsa o l’aggravamento della patologia nascente. Obiettivo questo non secondario se si considera che la continua crescita della cronicità minaccia la sostenibilità economica e l’esistenza stessa del nostro Servizio Sanitario.
Ma un altro elemento vogliamo ora sviluppare a vantaggio della società umana: potenziare la cultura del dono, far conoscere il suo valore sociale, sviluppare l’autostima di chi dona e il riconoscimento che il mondo circostante gli deve. “Io ho quel che ho donato”1 è una celebre sintesi di questi concetti: il dono ci dona a sua volta la soddisfazione di noi stessi e, per i credenti, la soddisfazione di aver ottemperato all’insegnamento divino2. Ci sentiamo migliori, ci sentiamo diversi e speciali.
Be different o Be special abbiamo stampato sulle nostre magliette. Dobbiamo farlo capire a tutti, perché solo liberandoci dagli egoismi e dal dio denaro, che tutto possiede e regola, potremmo vivere in un mondo più giusto e più felice.
1. Lucio Anneo Seneca. Hoc habeo, quodcumque dedi. De Beneficiis VI, 3, 1, circa 60 d.C.
2. Già nelle Antiche Scritture, peraltro, le persone che non pensano solo a se stesse e che sono capaci di generosità sono additate come esempi: esse sono definite Giusti. Uomo Giusto è quindi colui che sa donare qualcosa agli altri.