Ogni tanto mettersi fuori campo e considerare da osservatore indipendente il settore dove hai lavorato per anni può essere utile a riposizionarsi e a sfuggire alla morsa delle tue convinzioni e dei tuoi pregiudizi. Per questo ho ripensato la sanità italiana e la sua attuale crisi e mi sono disegnato un quadro di priorità e di azioni che farei se ne avessi i poteri. Ecco i temi che mi sono sembrati più importanti e prioritari a questa “visione dall’alto” o “fresh view” del mio settore di interesse.
1. Al primo posto metterei la salute pubblica, ossia la responsabilità dello Stato di assicurare a tutta la popolazione italiana un benessere fisico, psichico, sociale e ambientale che consenta alla Nazione di giovarsi di quel motore economico di sviluppo che la salute rappresenta. Intrinseci alla salute pubblica sono alcuni dei nodi più spinosi che ogni società avanzata deve sciogliere e precisamente:
a) un sistema educativo (e innanzi tutto la scuola primaria) che sappia costruire un cittadino consapevole, maturo e rispettoso degli altri e dell’ambiente che lo circonda oltre che dei determinanti sanitari e sociali della salute (stili di vita salutari, ambiente pulito, lavoro, conoscenza, partecipazione e inclusione, ecc.).
b) un compromesso onorevole con gli interessi organizzati perché non prevarichino e prevalgano sulla salute pubblica.
c) un programma forte di prevenzione primaria a basso costo per evitare che la patologia si manifesti clinicamente e assorba quantità insostenibili di risorse economiche.
2. Un secondo importante ambito è l’organizzazione dei servizi sanitari (o sanità in senso stretto) che deve ancora una volta partire da un sistema formativo moderno ed efficiente e un’attenzione speciale alla motivazione del personale sanitario e al suo aggiornamento oltre al rispetto dei malati e dei loro bisogni e preferenze. Oggi la centralità del sistema non è occupata né dai malati né dal personale e le scelte sono spesso di matura “politica” anziché tecnico-scientifica e finalizzata al servizio del pubblico. Sono soprattutto i pazienti anziani e cronici che ricevono meno attenzione, ma più in generale si notano insufficienze di sistema assai gravi e odiose. Tra queste innanzi tutto il divario di quantità, qualità e costo dei servizi sanitari tra le diverse aree del Paese, che determinano differenze tra le possibilità di salute e di vita tra i cittadini e che sono legate da un lato alle diverse capacità delle Regioni (titolari dell’assistenza sanitaria), ma anche alla scarsa incisività del Ministero della Salute a cui spetta la definizione dei LEA, intesi non come mera elencazione di patologie da curare a spese del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche della quantità, qualità e costo di queste prestazioni, che dovrebbero essere definite e garantite in ogni ASL del Paese, anche con verifiche on site disposte centralmente. In altri termini vanno definiti dal Ministero della Salute in collaborazione con le Regioni gli “standard” di quantità, qualità e costo che devono essere assicurati da ogni ASL, come previsto nella Legge Finanziaria per il 2005 (art. 1, comma 169 della Legge 30 dicembre 2004 N. 311 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”). E’ quindi necessario che la politica si assuma la responsabilità di decidere quali siano i LEA compatibili con le risorse finanziarie allocate alla sanità*, a sua volta distinte in conto capitale e spesa corrente, e quale sia la quota da assegnare alla salute pubblica piuttosto che al sistema di cura. Se la politica non è all’altezza di fare queste scelte, la stampa dovrebbe comunicarlo alla popolazione in modo oggettivo e serio, ma anche questo sembra in Italia un obiettivo difficile da ottenere.
Abbiamo già accennato al fatto, peraltro, che la sanità contribuisce alla salute collettiva solo per una quota (non superiore al 20%), mentre molto dipende dalla educazione e dai differenziali sociale tra le varie fasce della popolazione: anche su questi determinanti è la scelta della politica e quindi dalle azioni di Governo che fanno la differenza.
A livello regionale il governo della sanità implica l’utilizzo avveduto dell’accreditamento per equilibrare il peso del pubblico e del privato nell’erogazione dei servizi sanitari, dando al pubblico il ruolo preminente di strutture eccellenti e di calmiere, senza peraltro limitare o mortificare il privato. Mi sembra importante anche attivare forme di partenariato tra pubblico e privato tese ad aiutare il pubblico nella sua funzione di guida eccellente nei vari ambiti di servizio ai pazienti e di ricerca biomedica e sanitaria, liberandolo da una serie di inutili vincoli burocratici che oggi lo mettono in difficoltà. Si rispetti una buona volta quella autonomia organizzativa e amministrativa delle ASL e degli Ospedali, tante volte enunciata, ma mai veramente realizzata, così da conferire alle strutture pubbliche migliori quella caratteristica di amministrazione imprenditoriale ben descritta in “Reinventing Government” da Osborne e Gaebler. Ogni territorio ha sue caratteristiche e peculiarità: solo un certo grado di autonomia e imprenditorialità possono consentire un buon servizio sanitario ed ogni centralismo (compreso quello regionale) nuoce all’utenza. In particolare va notato che oggi abbiamo nuove esigenze in sanità, cui la Regione deve dare risposta. Le lista d’attesa troppo lunghe, i Pronto Soccorso intasati, il riordino delle reti specialistiche sono urgenze cui bisogna mettere mano subito ed efficacemente. La medicina territoriale è troppo debole: la pediatria, la psichiatria, la geriatria sono poco rappresentate e la medicina generale deve assicurare un accesso ininterrotto e migliori servizi domiciliari, organizzandosi in team collaborativi che includano anche figure professionali idonee per attuare quella presa in carico e tutoraggio dei pazienti cronici da tempo auspicati. Infine il territorio ha urgente necessità di nuove strutture quali le Case della Salute, i POT, i Walk-in Centre che devono essere ben disegnati e sperimentati con una collaborazione Stato-Regioni.
Non finiscono certo qui i problemi della salute, ma è tempo che chi ha il compito di fare si attivi in modo autorevole ed esperto, direttamente o indirettamente, che non si continui sulla strada della mediocrità e dell’inerzia perché la crisi del Servizio Sanitario Nazionale non ne pregiudichi la sopravvivenza.
- Per il 2019 lo Stato italiano spenderà circa € 118 miliardi per la sanità, pari a circa il 6,5% del PIL e quindi circa 1,5 punti di PIL meno degli altri Paesi avanzati dell’Unione Europea.