Più riflessione e studio per la sanità

Molti oggi in Italia si interrogano sul nostro Servizio Sanitario (SSN), sulla sua sostenibilità economica, sulla sua efficacia, efficienza ed equità. Il nostro SSN ha alcuni indubbi pregi, quali il costo relativamente basso (7% del PIL), l’universalità, la gratuità (o quasi) al punto di erogazione e la disponibilità diffusa di cure primarie, ma su efficacia, efficienza ed equità mi sembra vi siano spazi di miglioramento. Questo sembra essere anche il punto di vista della popolazione, che per la maggior parte vuole mantenere l’attuale SSN ma lo vorrebbe migliore e più attento alle necessità degli utenti. Se questa è l’impostazione generale del problema, io credo che riconsiderare alcuni aspetti sarebbe necessario e conveniente.

  1. Vanno definiti meglio i ruoli dei diversi attori istituzionali. L’assistenza sanitaria è divenuta con la riforma costituzionale del 2003 competenza delle Regioni, ma lo Stato centrale ha degli obblighi a cui non deve sottrarsi. Esso infatti deve definire i principi fondamentali del sistema e vigilare perché essi vengano da tutti rispettati. Tra questi figurano innanzi tutto i LEA che non vanno intesi solo come un mero elenco di prestazioni che le Regioni debbono erogare a fronte di un certo ammontare di risorse, ma servizi di cui vanno definiti standard minimi di quantità, qualità e costo, che debbono essere assicurati in ogni parte del Paese. Oggi non è così e evidenti diversità da area ad area della Nazione configurano differenze circa il trattamento dei cittadini inaccettabili sotto il profilo etico, in quanto possono penalizzare la salute e generare a volte una migrazione sanitaria assai dolorosa. Chi risiede in Italia ha il diritto di essere assistito in modo equivalente ovunque egli viva, al Nord come al Sud. La definizione di questi standard è stato previsto nella Finanziaria per il 2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, art. 1. comma 169), ma mai attuata, né tanto meno sono stati previste regolari verifiche e misure dei servizi sanitari erogati ed eventuali misure correttive. E’ compito dello Stato, in quanto garante del diritto alla salute di tutti i cittadini, assolvere questo compito, ancorchè in leale collaborazione con le Regioni.

E’ anche compito dello Stato assicurare la salute pubblica. I recenti provvedimenti circa le vaccinazioni obbligatorie o le malattie trasmesse da vettori come le zanzare sono solo gli esempi più recenti di come sia necessario investire maggiormente nell’igiene e nella salute delle popolazioni sia in termini finanziari che organizzativi. E’ necessario innanzi tutto che la popolazione venga informata adeguatamente e continuamente sul valore della salute pubblica, sui suoi risvolti economici ed umani così da comprendere appieno come ci si può meglio proteggere dai rischi che minacciano l’umanità. Ma è anche necessario che di fronte ai grandi problemi di salute tutte le Istituzioni collaborino lealmente e costruiscano con lo Stato centrale dei percorsi operativi utili alla causa comune. Serve in altri termini una maggior consapevolezza dei problemi da parte del pubblico e delle Istituzioni, e questo è un altro compito dello Stato centrale.

  1. Il disegno del SSN. Pur mantenendo fermi i principi di universalità ed economicità del servizio, questo può essere articolato in vari modi, scegliendo quello che più può ridurre inefficienze e sprechi (che oggi sembrano essere pari a circa un quarto della spesa sanitaria pubblica) in favore di migliori interventi di cura e di assistenza sanitaria e sociale. La Gran Bretagna si accinge a pubblicare un elenco di farmaci utili, ossia di dimostrata efficacia, che porterà ad escludere dal finanziamento pubblico tutto ciò che viene ritenuto inutile o poco efficace, addossandolo all’utente se ne vorrà fare uso. Ma altrettanto importante è il concetto che la tutela della salute è sì compito dello Stato, ma anche responsabilità di ogni cittadino. Non è possibile continuare a tollerare che oltre 11 milioni di fumatori addossino all’intera comunità italiana circa € 7,5 miliardi/anno di spesa sanitaria e altrettanto di perdita di produttività, con 80.000 casi di malattia e morti premature. Non è possibile che molti diabetici di tipo 2 assumano farmaci sempre più costosi tralasciando di modificare i loro stili di vita; calare di peso e condurre una vita meno sedentaria sono altrettanto efficaci dei farmaci, con vistosi risparmi per la finanza pubblica. Se la scelta dei soggetti è di continuare a fumare o ad eccedere con l’alimentazione e a non praticare attività fisica adeguata, essi debbono essere liberi di farlo, ma devono anche assumersene i costi.

Sotto il profilo organizzativo, infine, molte sono le varianti possibili. Ad esempio alcuni ritengono che lo Stato potrebbe retribuire direttamente tutta l’emergenza e le grandi-costose patologie, lasciando all’indiretta (con rimborso parziale) le prestazioni minori. Scopo di questi arrangiamenti organizzativi sarebbe quello di non sprecare risorse e dirottarle sul soddisfacimento dei bisogno socio-sanitari oggi non ben soddisfatti, come quelli che riguardano le persone anziane sole con basso reddito e impedimenti psico-fisici o i servizi in favore dei bambini di madri che lavorano. Speciale menzione merita a mio avviso, tra le iniziative di potenziamento delle cure primarie, l’istituzione delle Case della Salute per la presa in carico dei pazienti cronici anche con case manager, dei Presidi Ospedalieri del Territorio (POT) e dei walk-in centres, come ho già avuto modo di scrivere altrove (Allegati 1, 2). Di recente la Regione Lombardia ha avviato un simile percorso per i pazienti cronici nel contesto di una riforma sanitaria emanata nel 2016.

Infine è indispensabile che accanto alla medicina tradizionale impostata sulle cure, si sviluppi una medicina di iniziativa basata sulla vigorosa prevenzione e lo screening dei soggetti ad alto rischio per alcune principali patologie, come è possibile fare per il diabete, le malattie cardiovascolari ed altro ancora (Allegato 3). Bloccare o ritardare lo sviluppo di queste diffuse patologie significa anche ridurre la spesa sanitaria ingente che esse comportano una volta che si sono clinicamente manifestate.

 

Molti altri sono gli aspetti che debbono essere ripensati, e tra questi l’aggiornamento e la motivazione dei medici e del restante personale sanitario, finora molto trascurati. Le risorse umane sono il capitale più prezioso e ad esse abbiamo dedicato ben poco studio e attenzione. E’ questo un settore dove si può e si deve fare molto e molto presto. Qualità dell’assistenza, incluse appropriatezza ed efficienza, rapporti professionali ed umani e rispetto reciproco sono possibili solo se conoscenza e motivazione dei sanitari divengono caratteri distintivi di merito e ragione di promozione nella scala gerarchica per i professionisti sanitari.

Mi auguro che il modesto dibattito che si è sviluppato su questi grandi temi possa prendere consistenza ed interessare tutti gli Italiani, perchè ben sappiamo che la salute è interesse primario di tutti, si intreccia con molti aspetti della vita ed è anche un motore economico di sviluppo: un popolo sano lavora meglio ed è più felice, e questo deve essere un obiettivo prioritario di chi ha responsabilità di Governo.

Allegato 1: I presidi ospedalieri del territorio (POT)

Allegato 2: Darzi Centers o Walk-in Centres

Allegato 3: La medicina di iniziativa

 

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