I tagli in Sanità

I dati recentemente pubblicati dal Censis sembrano indicare che circa 11 milioni di Italiani nel 2015 hanno dovuto rinunciare alle cure a causa delle difficoltà di accesso ai Servizi Sanitari Nazionali. Si tratta di persone non abbienti che non possono pagare i ticket, accedere alla libera professione intramoenia o agli erogatori privati per superare le lunghe liste d’attesa o per ottenere prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale non eroga più illimitatamente come in passato. In effetti la spesa di tasca propria degli Italiani è incrementata significativamente nel tempo e oggi rappresenta un impedimento oggettivo a chi dispone di pochi mezzi economici. La ragione di tutto questo risiede nella progressiva insostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale legata in gran parte, ma non esclusivamente, all’invecchiamento della popolazione e al continuo e vorticoso progresso tecnologico, ma anche alla inappropriatezza di molti consumi sanitari che altro non sono se non spreco di risorse. La domanda che sorge a questo punto è: questo sacrificio imposto a parte della popolazione è utile a ribilanciare il Servizio Sanitario Nazionale? A parte l’aspetto etico, i provvedimenti presi da Stato e Regioni sono utili? Io credo che l’appropriatezza in Sanità dovrebbe derivare in verità da un migliore aggiornamento professionale dei medici e dalla educazione della popolazione all’uso dei Servizi Sanitari. In Italia nessuno dei due ambiti è stato curato. L’aggiornamento è ancora affidato prevalentemente alla partecipazione a incontri, corsi e congressi, ma non è stato impostato l’aggiornamento sul lavoro (che è parte integrante del Continuous Professional Development) e non è legato al rinnovo della licenza professionale. E’ ormai acclarato che il semplice scambio di informazioni è poco utile, mentre conta l’allenamento a risolvere i problemi che sorgono nella pratica professionale di ogni giorno (McMahon GT. What do I need to learn today? The evolution of CME. New Engl J Med 374, 1403-06, 2016). L’educazione sanitaria del pubblico è del tutto inesistente e le Istituzioni sono lontane dai cittadini, non parlano, non informano, non conoscono le tecniche di marketing sociale, non interagiscono con la scuola perché questa possa costruire un cittadino consapevole. La popolazione attinge quindi come può ai programmi televisivi o al sentito dire che certo non sono un’affidabile sorgente di corrette informazioni. Ma si può ovviare a tanta inavvedutezza istituzionale imponendo l’appropriatezza per legge? Certo si può, ma i risultati quali sono? Non succederà per caso che quegli 11 milioni di Italiani che non si riescono a curare ce li troveremo nei Pronto Soccorso e negli Ospedali quando si aggraveranno le loro condizioni di salute e ci costeranno allora molto di più? Non lo sappiamo, anche perché i provvedimenti non sono stati ben studiati nei loro risvolti socio-economici prima di essere emanati. Saremo sempre in tempo a modificare i decreti, dando luogo a quel continuo cambiamento delle regole che è causa di confusione e di non osservanza delle leggi. Che possiamo fare allora per continuare a godere di un Servizio Sanitario Nazionale sostenibile? Il quesito è nell’agenda di tutti i Governi e molti sono gli Stati che stanno valutando o sperimentando soluzioni operative. Innanzi tutto dobbiamo capire che divieti e ticket non sono utili a migliorare le cose. In secondo luogo il cambiamento deve essere graduale, chiaro agli utenti e inserito in un piano di Governo. Tutto il Governo deve capire che la salute di un popolo è un motore economico di sviluppo della Nazione, giacchè un popolo in salute lavora di più e meglio. Il piano di Governo, infine, deve giovarsi della esperienza di altri Stati, attingendo alle soluzioni di successo.  Tra queste ricordo le seguenti:

  1. fino ad oggi le risorse sono state concentrate quasi solamente sulla cura, ossia aspettando che la malattia si manifesti. Questo paradigma sta rivelandosi insufficiente ed è già oggi disponibile una medicina predittiva, che identifichi precocemente le persone a rischio delle principali patologie, per indirizzarle proattivamente verso stili di vita atti a ridurre il rischio che la malattia si instauri. Sappiamo ad esempio che con un semplice questionario è possibile identificare nella popolazione di soggetti che si presumono sani coloro che sono affetti da prediabete e che con un counseling e un sostegno psicologico una buona percentuale di costoro può ritornare alla normalità invece che progredire verso il diabete conclamato, con le sue inevitabili e dispendiose complicanze.
  2. I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) debbono escludere tutte quelle pratiche mediche e quei rimedi, test e farmaci di non dimostrata utilità. Per i farmaci biologici (assai costosi) è tempo di definire quali sono i criteri per rimborsarne l’uso: a questo fine molti ritengono che enormi spese per ottenere sopravvivenza di durata insignificante non sono giustificate. La misura del QALY (quality-adjusted life-year ossia del costo aggiuntivo per ogni anno di vita salvato aggiustato sulla qualità e che è ritenuto accettabile quando contenuto al di sotto di $ 25.000-50.000 per QALY) è considerata da molti un parametro utile alla decisione.
  3. Molta patologia è oggi generata da stili di vita inadeguati, legati in particolare ad eccessiva e cattiva alimentazione, scarsa attività fisica, fumo di tabacco. Molto si potrebbe fare in questo ambito, anche senza incorrere in violenti contrasti con interessi industriali e commerciali organizzati.
  4. La nostra Sanità è ancora fortemente incentrata sull’Ospedale, mentre sono ancora fragili la Sanità territoriale e le strutture e i processi di transizione tra Ospedale e territorio, quali Case della Salute per la presa in carico dei pazienti cronici, gli Walk-in Centre per integrare il lavoro dei Medici di Medicina Generale, i POT (Presidi Ospedalieri di Vicinanza) collocati nel territorio a disposizione dei Medici di Medicina Generale per offrire loro diagnosi e ricoveri di bassa intensità, specie a persone anziane, e specie per assicurare dimissioni protette e ricoveri di sollievo. Di queste strutture ho avuto già modo di discutere più volte (blog http://www.girolamosirchia.org).
  5. Infine non mancano soluzioni innovative di alleggerimento della spesa quali l’obbligo di assicurazione personale (pubblica o privata) per le patologie conseguenti ad attività ludiche o sportive, che non si vede perchè debbano gravare sul Servizio Sanitario Nazionale, l’obbligo di assicurazione personale (pubblica o privata) per la non-autosufficienza (a carico dello Stato per i soggetti indigenti) ed altro ancora.

Le soluzioni sopra elencate sono solo alcuni esempi e devono essere studiate attentamente prima di essere utilizzate. Ma la letteratura internazionale è ricca di spunti e suggerimenti analoghi e non può essere ignorata.

In conclusione, io credo vi sia ampio spazio per rendere più equo ed efficace il nostro Servizio Sanitario Nazionale, per assicurargli un miglioramento continuo ed aggiornarlo per meglio far fronte ai bisogni di salute degli Italiani. Bisogna avere il coraggio di abbandonare le scorciatoie improvvisate e pericolose per avviarsi su percorsi ragionati e validati.

 

 

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