L’uso delle statine per la prevenzione primaria è un argomento ancora molto controverso, anche perché i risultati sono discutibili, l’aderenza dei pazienti scarsa (50% dei casi) e i costi molto elevati. Il 31 ottobre 2014 i CMS (Centers for Medicare and Medicaid Services) hanno raccomandato l’uso di statine per prevenzione primaria solo nei seguenti pazienti:
❶ soggetti con rischio cardiovascolare ›7,5% (Carta del rischio)
❷ soggetti con malattia aterosclerotica in atto ancorchè silente (ad esempio presenza nelle carotidi di placche arteriose rilevanti)
❸ soggetti diabetici con tassi di LDL-C ›70 mg/dL
❹ soggetti non diabetici con tassi di LDL-C ›190 mg/dL.
Sempre più si sottolinea che non dobbiamo ragionare solo sui livelli di colesterolemia e sforzarci di abbassarli con i farmaci, ma dobbiamo considerare il paziente nella sua interezza e sforzarci di abbassare il suo rischio cardiovascolare.
Dobbiamo infine ricordare che ogni trattamento “tutti i giorni per sempre” come le statine, o i farmaci ipotensivi, necessita di un colloquio con il paziente cui il medico spieghi bene perché ciò è vitale, onde evitare che egli abbandoni la terapia dopo un certo tempo. A tal fine egli va anche monitorato nel tempo e il messaggio periodicamente rinforzato (prevenzione proattiva). Come si vede, una pratica medica che esige diversi cambiamenti e innovazioni rispetto a quella oggi abituale, con un obiettivo più largo, ossia migliorare non il singolo valore di laboratorio, ma la lunghezza e la qualità della vita del paziente, riducendo tutti i fattori di rischio noti (e innanzi tutto il fumo e l’ipertensione, il sovrappeso e l’inattività) che possono incidere negativamente su questo obiettivo. Ovviamente l’obiettivo è chiaro, ma la strada per raggiungerlo è appena tracciata.
(Stine NW, Chokshi DA. Elimination of lipid levels from quality measures. JAMA 312, 1971-2, 2014)
L’ha ribloggato su HPHItalia.