Prospettive per un miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale

Presentazione alla riunione ANPO
“Ospedale per intensità di cura e lean healthcare”

Bolzano, 12 aprile 2013

Capisco che l’attuale momento storico non è adatto a proporre modifiche della sanità, anche se questo è uno dei valori più apprezzati dalla popolazione. In un momento di crisi economica e di sbandamento della società, di sfiducia profonda verso le Istituzioni e in particolare verso la classe politica avida e incapace, parlare di riforme del Servizio Sanitario Nazionale può sembrare un inutile esercizio. Inoltre la vostra realtà è probabilmente diversa da quella del resto d’Italia. Tuttavia la crisi economica e sociale che stiamo vivendo è anche un’opportunità per riflettere sugli errori fatti ed attuare il cambiamento. Mi soffermerei pertanto su alcuni punti/errori nodali che andrebbero ripensati e modificati:

1) la politica regionale è troppo presente nella sanità. Le Giunte regionali hanno costruito una catena di comando e controllo delle Aziende sanitarie che le porta ad entrare nella gestione spicciola e quotidiana dei servizi sanitari, privando le Aziende di qualsiasi autonomia. Un impianto centralista (neocentralismo regionale secondo De Rita), del tutto analogo a quello statale del passato, che attraverso le nomine comporta di fatto l’esclusione di tutti coloro che non hanno il colore politico della Giunta in carica. Un sistema di potere che ovviamente non si basa sul merito professionale o sui valori umani, ma solo sugli interessi di parte.
Bisogna allora mettere in agenda di:

a) riportare la Regione al suo ruolo istituzionale di programmazione e controllo della sanità, escludendo che interferisca con l’organizzazione e la gestione delle Aziende sanitarie attraverso le nomine;
b) ridare alle Aziende sanitarie una vera autonomia affinchè il merito di chi le dirige e le compone possa emergere e dai risultati si possa giudicare chi li ha conseguiti.

2) il ruolo del medico nella sanità è diventato opaco. Una serie di norme ha sempre più assimilato i medici del Servizio Sanitario Nazionale a pubblici dipendenti sminuendone pian piano il ruolo sociale e il peso all’interno dell’organizzazione sanitaria e della società. Questa impostazione nuoce ai medici, ma anche ai pazienti e alla sanità stessa. Il medico è un professionista e il suo massimo bene è la sua professionalità che deve essere valorizzata, sia nei contratti di lavoro, sia nell’organizzazione e gestione del sistema. E’ allora necessario che si ripristini una gerarchia sia per i medici ospedalieri, sia per quelli che operano nel territorio nella Casa della Salute (vedi “Salute e Sanità” di G. Sirchia e M. Campari).
Tale gerarchia deve essere basata sul merito e sulla leadership umana e professionale. Il Primario, che negli anni si è fatto in modo di cancellare, ha diverse funzioni insostituibili: egli infatti non è solo il responsabile del Reparto, ma è anche il leader della scuola medica, quello che ha insegnato a tutti noi come si visita il malato, come si imposta un processo di diagnosi e cura, come ci si aggiorna continuamente, come si fa ricerca e come ci si comporta se si vuole essere davvero degni della fiducia di chi affida a noi la sua salute. Sminuire questa figura e quella dei suoi aiuti ed assistenti, dei suoi tirocinanti e dei suoi studenti è prima di tutto un segno di profonda ignoranza oltre che di superate ideologie. Ancora di recente un articolo del British Medical Journal ricordava il valore dell’Ward Round e del Grand Round, il giro in corsia, di cui ricordava il valore e ne auspicava la pratica (Kmietowicz S. Restore ward round to former glory to improve patient care and team working say Royal Collages. BMJ 2012,345,e6622).
Costruire per i medici una carriera articolata con i corrispondenti riconoscimenti significa stimolare la leadership, tanto necessaria per l’avanzamento della conoscenza e il miglioramento dei servizi anche sanitari, responsabilizzare e motivare i medici a ben operare e a distinguersi sul piano tecnico ed etico e in questo modo ottenere contemporaneamente una sanità più qualificata, più consapevole, in una parola più conveniente oltre che qualitativamente migliore.

3) L’Azienda sanitaria non può essere una struttura rigida ed uniforme, ma per sua natura non può essere che flessibile e duttile, e questo tessuto elastico è costituito proprio dai medici, dalle loro attitudini e capacità, dal richiamo che essi sanno esercitare sulla popolazione dei malati e sugli erogatori di risorse finanziarie per i servizi sanitari (assicurazioni private, imprenditori, etc.) e per la ricerca. Ogni Azienda sanitaria ha quindi una sua configurazione e non può essere assimilata ad altre Aziende di servizi (non può essere assimilata al concetto stesso di Azienda), non può esserle calato addosso uno schema organizzativo e gestionale come una gabbia rigida. In tal modo si ottiene solo di mortificare gli spazi di creatività e sviluppo e di ridurre i medici al ruolo di pubblici impiegati, demotivati e disinteressati, se non ostili alla struttura che li ospita. Questo è anche ciò che un buon Direttore Generale deve capire: egli non è il padrone di una ferriera, ma il supporto di un’organizzazione complessa che si centra sui medici, sul loro valore, sul loro carisma e sulla loro motivazione. E la motivazione del personale va curata con la massima attenzione. Un vero medico nutre la sua motivazione accrescendo la propria capacità clinica, l’aggiornamento continuo, la didattica e la ricerca, oltre ai riconoscimenti materiali. Anche perché, sia nell’Ospedale che nel territorio tutti i medici devono avere possibilità di accedere ad un aggiornamento continuo sul campo, alla didattica e alla ricerca. Ciò significa che dobbiamo offrire loro un sistema di CPD (Continuous Professional Development), una possibilità di carriere accademica, una possibilità di ricerca.

Non posso approfondire qui questi importanti aspetti di un auspicabile cambiamento del quale ho più volte trattato in questo blog.
Una volta stabiliti questi principi, estromessa la politica dalla sanità, disegnate Aziende sanitarie flessibili, investito nel ripristino del ruolo sociale e professionale dei medici, tutto diverrebbe più facile, incluse le modificazioni di organizzazione e gestione degli Ospedali e della medicina territoriale. L’obiettivo di aggiungere valore alle persone e alle organizzazioni potrà essere meglio raggiunto con sperimentazioni gestionali, cioè investendo seriamente nella ricerca sanitaria, ossia quella che affianca la ricerca biomedica, ma che da questa si distingue perché finalizzata a migliorare i servizi sanitari erogati ai cittadini e a motivare e qualificare il personale sanitario.
L’attenzione alla ricerca sanitaria è stata più volte sottolineata da diversi consessi internazionali (vedi G. Sirchia “Spunti per una sanità migliore”, pag. 90 e seguenti, Piccin Editore, Padova, 2011) ed è prevista e finanziata (poco) anche in Italia. Essa dovrebbe far parte di quella ricerca proposta dalle Regioni al Ministero della Salute, ma finora le proposte Regionali sono state abbastanza inconsistenti. Per quanto si riferisce specificamente ai temi che interessano questo Convegno, rimando alla mia lettera di risposta al Dr. Chilovi del 2 febbraio u.s., che riporto in allegato.
Molto altro vorrei aggiungere sul modo di fare sanità, sul modo di sperimentare nuove soluzioni, sull’importanza e le modalità di motivare il personale, sui rapporti tra chi dirige e chi pratica la medicina, sull’aggiornamento del personale sanitario, sulla necessità di dare autonomia alle Aziende sanitarie, ma tutto questo qui non è possibile. Recentemente con un Gruppo di persone valide abbiamo costituito un Movimento di cultura e politica denominato “Italia Equa e Solidale” (IES) che si propone di studiare e avanzare proposte di miglioramento dei vari aspetti della società italiana. Se vi fa piacere partecipare a questa iniziativa, saremo felici di accogliervi e condividere con voi lo sforzo di contribuire a rendere migliore la vita nostra e dei nostri connazionali.

Professor Girolamo Sirchia

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