La gestione delle malattie croniche (chronic disease management, CDM) è la sfida più grande della sanità del 21° secolo. Il nostro Servizio Sanitario è stato creato per rispondere primariamente alle malattie acute e non è ben attrezzato per rispondere alla cronicità, che ha bisogno non tanto di Ospedali, ma di una medicina territoriale ben collegata alla residenza del paziente, accessibile e disponibile, proattiva, organizzata in una squadra di professionisti (medici generalisti, specialisti, infermieri, riabilitatori, farmacisti, personale adibito al servizio della persona e della casa) ben collegata ai Reparti Ospedalieri di Geriatria, alle Residenze di Sollievo (RSA per ricoveri temporanei o permanenti), dotati di cartella elettronica dei pazienti e supportati dalla telemedicina. Per ogni paziente una Unità di valutazione multidimensionale deve redigere un piano di assistenza e cura, deve verificarne l’attuazione e gestirlo con personale adeguatamente preparato. Come si vede, si tratta di un’organizzazione e gestione complesse, che ancora sono ferme a modelli sperimentali e quindi non ancora ben definite. Particolarmente difficile è la comunicazione tra i vari professionisti ai vari livelli di cura, tra loro e con il paziente e i suoi familiari. Una simile complessità è anche molto costosa e ciò comporta ulteriori difficoltà. Infine non è più tempo di separare l’aspetto sanitario della assistenza da quello sociale, cosa che è ancora presente in Italia con la sanità affidata alle ASL e l’assistenza affidata ai Comuni.
Per affrontare un problema così complesso credo si debba procedere a piccoli passi, cominciando da due iniziative:
- Riformare la medicina territoriale, inserendo quest’ultima in una rete di assistenza e cura di decrescente intensità, che parta dall’Ospedale per arrivare fino al domicilio del paziente, affidando quest’ultimo ad un case manager che lo segue nei suoi spostamenti nella rete, cura la compilazione della cartella elettronica, stabilisce i necessari collegamenti tra i vari momenti, chiede l’intervento dei vari operatori e degli specialisti nei momenti opportuni. In tal modo la gestione quotidiana dei malati cronici non diviene più un insopportabile peso per i medici, che intervengono solo come supervisori, prescrivendo e verificando gli interventi più opportuni. E’ ovvio che la figura del case manager va creata ex novo: una nuova figura professionale che va aggiornata e motivata continuamente, dotata dei necessari poteri per intervenire autorevolmente ai vari livelli.
- Oltre alla cura delle malattie croniche conclamate, tuttavia, è indispensabile avviare un’iniziativa ad ampio raggio che prevenga la loro comparsa. Sappiamo, infatti, che una larga parte di queste malattie è prevenibile, e ciò significa oltretutto risparmiare una ingente quantità di risorse: oggi circa 2/3 della spesa sanitaria è infatti assorbita dalle malattie croniche, e nel mondo occidentale cresce progressivamente in modo largamente superiore alla crescita del PIL, così da divenire a breve insostenibile. Il tema della promozione della salute e della prevenzione è stato affrontato per la prima volta in Italia nel 2004 con il Piano Nazionale della Prevenzione e, più recentemente, negli USA con il Patient Protection and Affordable Care Act (2010) (ACA) che, alla Sezione 4103, prevede che per migliorare la salute degli Americani venga eseguita ogni anno una visita medica, una valutazione dei rischi di salute individuali con obiettivi di miglioramento monitorati e la stesura di un Piano Personalizzato di Prevenzione.
La valutazione dei rischi (Health Risk Assessment, HRA) comprende:
- identificazione di malattie croniche (inclusa l’assuefazione a fumo o droghe);
- rischi di trauma;
- fattori di rischio modificabili;
- urgenti bisogni sanitari;
- necessità di strumenti per il monitoraggio telefonico o via web, ma anche per misurare la pressione arteriosa, la glicemia o altro.
La visita annuale è diretta agli anziani e mira a prevenire la comparsa o recidive di malattie o disabilità, a promuovere stili di vita salutari (prevenzione primaria), a fare gli screening (prevenzione secondaria).
Si vuole che i pazienti capiscano bene i loro problemi di salute e prendano parte attiva a proteggere il loro benessere. L’ACA sollecita i sanitari a fare ricerca in questo ampio e ancora negletto settore, a raccogliere i dati dei pazienti con l’aiuto dell’elettronica (monitoraggio, registri, ecc.), a valutare gli outcomes nel tempo, a sostenere regolarmente i pazienti in modo proattivo con il counselling, la sollecitazione perché le date del monitoraggio vengano rispettate, l’impegno ad assumere i farmaci prescritti in modo ordinato.
Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ha pubblicato 10 Raccomandazioni pratiche rivolte a tutti gli attori interessati per realizzare questo ambizioso e impegnativo programma (Goetzel RZ et al – A framework for patient-centered health risk assessments. Providing health promotion and disease prevention services to Medicare beneficiaries, 2011. www.cdc.gov/policy/opth/hra/).
Ancora un volta, quindi, è la medicina territoriale che deve giocare un ruolo determinante per contrastare le cronicità. A questa, tuttavia, deve affiancarsi una possente e continua iniziativa centrale di comunicazione e marketing sociale, che sappiamo capace di modificare le abitudini dei cittadini inducendoli a prestare maggiore attenzione alla propria salute e quindi a prevenire i danni delle cronicità.
Si vede da quanto sopra che i due passaggi suggeriti danno corpo anche ad una pratica medica territoriale più ampia e importante dell’attuale, con un servizio ininterrotto e multidimensionale. Una “Casa della Salute” che prende in carico i suoi pazienti cronici e ne risponde.
L’obiettivo ideale è che la medicina di base gestisca e si responsabilizzi sia sugli interventi clinici individuali sia quelli in favore della popolazione (Stine NW, Chokshi DA – Opportunity in austerity. A common agenda for medicine and public health. NEJM 366, 395-97, 2012).
Penso che una sperimentazione gestionale di questo nuovo modello sia opportuna e urgente.